La disabilità condiziona tutti i componenti di una famiglia.

Quando nasce un bambino con bisogni speciali, è innegabile, tutto cambia. Cambiano le prospettive, le priorità, i rapporti familiari, l’intensità degli sguardi, le preoccupazioni, il valore dei traguardi, le emozioni investite.
Tutto ciò, a mio avviso, non ha valenza esclusivamente negativa.
Ricordo ancora quando andai dal prof. Baccichetti, genetista, parlando di come mi sarei dovuta comportare con Emma.
Questa fu la sua riposta:
Esattemente come sta facendo con Tommaso, altrimenti è lei, mamma, la prima a discriminare sua figlia. E lei non vuole un mondo che la discrimini”.
Queste parole si incisero indelebili in me.
Non avrei fatto differenze. Anzi, ad Emma avrei chiesto quel tantino in più, quella frustrazione necessaria, ma non eccessiva, che l’avrebbe spronata a fare, per crescere.
Così ho fatto, o spero di fare ogni giorno, ma nessuno è perfetto.
Semplicemente fa del proprio meglio, avendo ben presente cosa significa amore, amore sano, che non soffoca ma che crea radici per sostenere un fusto ben eretto.
Ricordo anche cosa mi disse quel genetista riguardo al rapporto di coppia in una famiglia come la nostra.
“Si sviluppano dinamiche differenti… un bambino dai bisogni speciali può separare, o può unire ancora di più, sia per rispettare un fine comune, quello della crescita, sia per le risorse personali che quel bambino può riuscir a tirare fuori da ognuno.
Ma in tutto ciò… come reagiscono i fratelli del bambino con disabilità?  Cosa provano i sibling?

Il mio Tommaso a giugno compirà 9 anni. E’ un bambino solare, che sta scoprendo l’ironia, si integra facilmente nei nuovi gruppi, ama andare a scuola, adora la matematica e la storia, leggere Geronimo Stilton. Ultimamente ascolta spesso Michael Jackson, canticchia le sue canzoni in inglese maccheronico e prova a fare, non riuscendoci assolutamente, il famoso moon walk del cantante.
Ma questo è quanto vedo al di fuori.
Tante volte gli chiedo come sta, e nel suo rispondermi frettolosamente bene trovo tante sfumature.
In passato non ha manifestato in modo eclatante la sua gelosia per Emma, per la nostra presenza costante, le cure a lei riservate, gli incitamenti per i suoi successi. Ogni volta che qualcuno lodava Emma io spendevo parole di lode per Tommaso, ad ogni compleanno della sorella c’era un regalo anche per lui, unitamente alle uscite a lui esclusivamente dedicate. L’ho forse caricato di un ruolo da fratello maggiore perfetto? E se a volte non fosse perfetto, cosa succederebbe in lui?
Ora finalmente vedo uscire quella gelosia, fatta di dispetti, di sonori rifiuti, ai quali Emma risponde con altrettanta voce. Ma vedo anche tante coccole, il cercarsi l’un l’altro.
Queste sono dinamiche che accadono in ogni famiglia che ha più di un bambino, immagino, ma cosa viene tracciato sotto… dentro?
Cosa significano certe sue tensioni corporee, il suo non volermi aiutare in un piccolo progetto che ho in mente, disegnandomi come vede Emma? Cosa c’è dietro quei silenzi, quel suo giocare a fare battaglie mimandole con salti ed evoluzioni sul divano?
Forse mi pongo troppe domande, forse dovrei rispettarlo come bambino razionale, al quale è giusto concedere i propri spazi, i propri silenzi, ma i perchè si fanno sentire.
Carolina Ameliosquisita dottoressa che ho avuto modo di conoscere alla 1 settimana estiva del dott. Lagati, essendo lei stessa sorella di un ragazzo non vedente, ha ideato il metodo Caroanto, che tende a “scoprire, individuare, proteggere”, i sibling.
A noi fratelli di ragazzi con disabilità, viene spesso dato fin da piccoli un ruolo adulto, il che crea involontariamente molte paure e preoccupazioni – spiega la psicologa Carolina Amelio, l’ideatrice e la responsabile del centro e del metodo CaroAnto, lei stessa sorella di un ragazzo disabile – Spesso abbiamo paura di causare ancora più problemi in una famiglia già enormemente preoccupata; così, tentando di essere maturi a un’età troppo giovane, rischiamo di diventare degli adulti difficili. Cerchiamo di accelerare il processo naturale di crescita e, anche quando abbiamo dei genitori che ci amano e rispettano, le nostre paure e le nostre preoccupazioni persistono. Cresciamo avendo i nostri fratelli “speciali” costantemente in mente. Gli studi che ho fatto mi hanno aiutato a personalizzare gli approcci e le tecniche psicologiche per poter venire incontro ai bisogni dei miei pazienti, ma il metodo nasce dal mio vissuto personale – afferma ancora Carolina Amelio – I genitori di ragazzi disabili sono le persone più studiate, ma l’esperienza dei fratelli dovrebbe essere ascoltata maggiormente sia dai genitori che dai professionisti, perché anche loro hanno silenziosamente dato un grosso contributo alla crescita di questi fratelli “speciali” e, se spronati, avrebbero tante cose da dire”. 

Ripenso anche a questo mio vecchio post, riportante un articolo che mi aveva molto motivato, e riconosco il nostro approccio positivo sui nostri figli, sulle scelte della vita, sull’importanza del sorriso e della voce ferma allo stesso tempo. Penso che le domande ci saranno sempre, e non sempre ci saranno le risposte. Penso che ci saranno periodi di cambiamento nei quali ci potremmo sentire inadeguati, o non preparati, addirittura sconfortati, impotenti.
Nessuno ci può dire come la vita evolverà, ma noi potremmo cercare gli strumenti necessari per evolverci a nostra volta.  Continuando a farci quelle famose domande.
Intanto guardo mio figlio, e il suo modo di abbracciare una meravigliosa piccola creatura nata da appena 2 mesi, anche lei con sindrome di Down.
E le domande tacciono per un po’.