Il 10 giugno hai finito la scuola elementare.

Sei andata a scuola felice, pronta a fare la foto con i tuoi compagni. Pronta a salutare quel grembiule nero che ti ha accompagnato per 5 anni. Pronta a salutare quella scuola, le classi, i corridoi, le bidelle. Pronta a separarti da Maestra Monica, che ti ha sostenuto e accompagnato in questo lungo periodo. Pronta a salutare la tua educatrice Serena, sperando in un arrivederci alla scuola di secondo grado.

Pronta. Sto scrivendo questo termine, ma è realmente tuo?

Oppure è un trasferire le mie paure trasformandole in concreta certezza che da sicurezza?

Io non ero pronta quel giorno. Per nulla. Ti ho accompagnato al cancello con il cuore diviso in due e gli occhi pieni di immagini. Immagini passate e immagini future. Mie, tue, di altre persone con la tua stessa disabilità.

Quando ti ho visto uscire insieme ai tuoi compagni eri sorridente con il tuo cappello da laurea. L’intera classe era acclamata dal resto degli alunni della scuola, disposti a semicerchio, che gridavano “quinta, quinta!

Avete lanciato quel cappello in aria, vi siete abbracciati, qualcuno ha pianto.

Io ho pianto di sicuro, calde e lunghe lacrime. Provenivano dal famoso forziere sepolto in fondo al cuore, quel forziere di cui ho scritto in questo post “ah, Emma è poco Down“.

Ho chiuso quell’enorme dolore iniziale in un forziere marrone, con un grosso lucchetto da pirata, tante catene attorno, e ho cercato di dimenticarlo lì, sepolto da qualche parte nella mia anima. Ma quel forziere, ogni volta che si presenta una nuova grande scelta, si apre. A volte poco. A volte tanto. 

Il 10 giugno quel forziere si è spalancato.

Mostrandomi nuove domande senza risposta come quelle che mi ero posta quando nascesti. Mostrandomi quanto può galoppare lontano la mente se non frenata dalla fondamentale razionalità. Facendomi scendere dall’unicorno che dispensa arcobaleni che sono abituata a cavalcare, io costante ottimista .

Nell’abbraccio con le maestre ho cercato di far sentire loro questo mio disequilibrio. E mi sono aggrappata alle loro parole di certezza sulle capacità di Emma in versione alunna. Su quel potenziale che soprattutto in quest’anno hai saputo tirare fuori.

Il forziere è rimasto aperto un po’ di giorni, rendendomi vulnerabile. Ti ho osservato nuovamente, proprio come chiedo di fare ai genitori che seguo nei percorsi alla genitorialità.

Non sei più una bimba. Vuoi i tuoi spazi, i tuoi silenzi, metti distanze. Ed è normale per una ragazzina di 11 anni. Ma se a quella ragazzina è attaccato un cromosoma 21, tutto assume un sapore differente. La tanto temuta adolescenza si sta avvicinando.

Ma in questi anni di conoscenza reciproca, ho imparato il rispetto.

Anzi, il Rispetto. Del come sei e non del come ti vorrei. Ho imparato ad analizzare le cose nel concreto, a scindere tra ciò che puoi e non puoi fare, o ciò che vuoi o non vuoi fare. E la differenza non è poca.

In questi anni ho di sicuro peccato in accompagnamento alla didattica, ma ho costantemente allenato la tua consapevolezza ad essere, a gestire la tua autonomia quotidiana, dove per autonomia non si intende solo il sapersi allacciare le scarpe. Ti ho dato fiducia, sotto tante e tante forme, sperando che entrasse nei pori della tua pelle e diventasse un tutt’uno con la tua persona.

Posso solo attendere, il 16 settembre e i mesi a venire, per capire come affronterai questo nuovo percorso scolastico. Ho richiuso il forziere, anche se so bene che le catene non sono chiuse così serrate.

Ho frenato la mente, mettendola in pausa, focalizzando la mia attenzione su quanto concretamente farai quest’estate.

Penso a domenica, quando ti accompagnerò alla tua settimana di vacanza sul Monte S. Boldo. Biodanza, counseling espressivo, musica con strumenti improvvisati, escursioni, ricerca dei talenti di ognuno. Nessun volto per te conosciuto. Nè amica, nè educatore.

Ecco, mi aggrappo a questa ENORME esperienza che ti accingi a fare.

Con nelle orecchie la tua frase “mamma, non vado nella settimana con Tommaso (mio fratello).

“Mamma, io vado da sola!”