Ma Emma è davvero down?

In questo periodo di numerosi commenti sul nostro canale youtube, mi trovo a rispondere alla domanda che va per la maggiore: ma Emma è proprio down?
Riporto il commento, pari pari, non potrei mai definire mia figlia down, semmai up con periodi down, proprio come me o molti degli amici che conosco, utilizzando questi aggettivi nel loro corretto significato in inglese.
Ma non mi offendo di certo per un uso scorretto del termine, rispondo con garbo, suggerendo di utilizzare sindrome di Down, perchè le parole hanno un peso.

La seconda affermazione più comune è “ma allora Emma è poco down“, e di nuovo, con garbo, rispondo che la sindrome di Down è una condizione genetica che caratterizza la vita di mia figlia, nata con una trisomia 21 libera ed omogenea. Esistono differenti gradi di gravità? In questi 8 anni a contatto con la trisomia ho sentito pareri medici discordanti.  Sicuramente una buona comunicazione della diagnosi, una pronta accettazione del bambino nelle sue caratteristiche peculiari ed un intervento precoce di famiglia e ambiente possono fare la differenza.

Ah, mi è anche stato chiesto cosa sia la sindrome di Down, ma non entro in merito…

Ma cosa significa “una pronta accettazione del bambino nelle sue caratteristiche peculiari ed intervento precoce di famiglia e ambiente”?
Io lo traduco con chi sei tu realmente per me, bambino mio? E ancora, come mi trasformo io per permetterti di essere ciò che realmente sei?
Non è facile da capire.
Ancora meno da mettere in pratica.

Ci provo, con una sorta di time lapse scritto.

Alla nascita di Emma ho pianto fiumi di lacrime. Infiniti caldi e amari fiumi di lacrime: non volevo una bambina diversa dalla mia immagine ideale di figlia perfetta.
Grazie a mio figlio Tommaso ho presto visto Emma per quello che era, mia figlia, desiderata, e meritevole di essere amata.

Ho chiuso quell’enorme dolore iniziale in un forziere marrone, con un grosso lucchetto da pirata, tante catene attorno, e ho cercato di dimenticarlo lì, sepolto da qualche parte nella mia anima.

Emma ha iniziato subito a fare fisioterapia, 45 minuti di consigli e rassicurazioni tra terapista e mamma, durante i quali  raramente è stata manipolata. Mai nel box, mai nel girello, sempre per terra su una trapunta nera e bianca (il contrasto ottico stimolerebbe la vista) libera di poter ispezionare casa.
Utilizzando i consigli del dottor Lagati e del suo corso per corrispondenza sono diventata l’altoparlante dei suoi pensieri: con semplici frasi le descrivevo cosa le accadeva intorno e cosa succedeva con il suo agire.
Sempre.

A 3 mesi l’abbiamo messa nella sua cameretta.
A 9 mesi, da quella cameretta, le ho sentito pronunciare mamma.
A 11 mesi ha iniziato a frequentare l’asilo nido.

E il forziere si è riaperto…

Una volta conquistata la posizione seduta il suo muoversi nello spazio era fatto da un movimento di bacino e di sedere, in avanti. Era capace di percorrere decine e decine di metri così. Anche sulla sabbia. Quanti pantaloncini ha bucato strisciando le sue chiappette su diversissimi terreni!

A 18 mesi la nostra prima settimana estiva con il dottor Lagati , e il conseguente approccio al metodo Feuerstein.

Ha iniziato a camminare a 25 mesi. Abbiamo rifiutato l’uso delle scarpette ortopediche.

Intorno ai 2 anni e mezzo la prima seduta di logopedia. Sono arrivata da Vanda con tutte le aspettative di una mamma da aggiustare, anche se in realtà la domanda che ponevo era di aggiustare Emma. La mia adorata logopedista ha detto “Emma viene qui per giocare con me. Si deve fidare per potersi divertire. E divertendosi imparerà”.
Non ho com-preso subito quelle parole.

E il forziere si è spalancato…

Ho ripensato all’immane fatica che facevo ad applicare il metodo Feuerstein, alla fatica emotiva di ricevere una risposta non consona alle mie aspettative, e ho deciso di prendermi una pausa.
Il nostro agire con Emma era comunque carico di fiducia.
Di lungimirante fiducia.
Ricordo come prestissimo ho iniziato a pormi questa domanda, in più e più occasioni quotidiane: la risposta che ti sto dando in questo momento risolve la questione nell’immediato, ma a lungo termine, che ripercussioni potrà avere?
Non ti concedo un determinato comportamento, anche se mi costa fatica restare nella mia poszione, perchè penso a te adulta nel mondo. E ogni piccolo lungimirante pezzettino crea la tua personalità.

L’universo si è poi mosso per farmi conoscere la persona giusta al momento giusto e mi sono ritrovata iscritta al percorso triennale in pratica psicomotoria Aucoutier, a 100 km da casa, 2/3 fine settimana al mese di frequenza più le formazioni personali e il tirocino.
Primo anno: sono qui per aggiustare Emma.
Secondo anno: sono io che devo essere aggiustata.
Terzo anno: questo è il lavoro che voglio fare da grande.

E il forziere inizia a restare chiuso.

So benissimo dov’è collocato, e mai me ne vorrò liberare, perchè mi ricorda quanta strada ho fatto. Semplicemente, quando si apre, non fa più cosi male.

Ora Emma frequenta la 2′ elementare. Inizia a leggere con sempre più fluidità, la matematica è un grosso scoglio, ma ha la fortuna di aver ottimi insegnati, sia di classe che ti sostegno, che la seguono e supportano.

Soprattutto Emma è una bambina consapevole del suo agire e del suo essere nel mondo.

Non racconto questo per dirmi brava, o per dire che Emma è una super bambina con la sindrome di Down, ma è questione di aggiustamento reciproco.

Un bambino fino a 6/7 anni è un tutt’uno mente/corpo. Il suo linguaggio è dato dal movimento e l’adulto, essere di parola, si impegna a comprendere questo suo linguaggio, per poter comunicare e relazionarsi con lui. Ma spesso il movimento disturba l’adulto, che pretende di controllare la situazione e non riconosce tale movimento come necessario e fondamentale per la crescita psicofisica del bambino.
Al bambino viene tolta la spontaneità, a discapito dell’autonomia, che non è solo quella funzionale, bensì la capacità di organizzarsi, di agire, di tenere un progetto. Lo agisce, e facendo al posto suo non lo riconosce come un soggetto pensate.
Il bambino conquista il limite, corporeo e nello spazio, se ha sperimentato il mondo circostante e se ha trovato un adulto che lo ha preparato ad accogliere il mondo, dandogli spazio, tempo e oggetti attraverso cui sperimentare e sperimentarsi.

Rispettando il suo tempo personale.

Il tempo del bambino… non il nostro!
E allora guardiamoci dentro e chiediamoci se QUANTO chiediamo a nostro figlio sia davvero per il suo bene.
Perchè arrivi a scuola più capace dei compagni normodotati? Perchè gli venga detto che sembra poco down? Perchè ci venga detto che siamo delle super mamme?

O forse è tutta una questione di forziere ancora troppo aperto.

Ebbene… la mancanza di piacere non porta all’apprendimento.
Forzando e anticipando i tempi sottraiamo il desiderio di desiderare e di apprendere per una spinta interiore. Esiste un impulso al gioco, che è esperienza creativa, e serve ad acquisire identità.
La sua identità in divenire, la nostra identità aggiustata a quel preciso bambino.

Perchè il nostro bambino si trasforma nella misura in cui noi ci siamo trasformati per lui.

Ed è allora che il forziere, anche quando si apre, non fa più così male.