Quanto pesa dire no ad una vita?
Non lo riesco nemmeno ad immaginare.
Posso provarci, ma nemmeno dando fondo a tutta la mia empatia, mi avvicino a cosa stai sentendo tu, in questi giorni. Ti penso, e mi si strugge il cuore.
Ma ora, senza biasimarti, ho bisogno di scrivere. Perchè succede che le storie che mi donate, a volte, pesino un po’ troppo in questo mio cuore.
Oggi penso a te, a te che in punta di piedi mi hai contattato per chiedermi se fosse possibile.
Che cosa?
Vivere con un bambino con la sindrome di Down.
Dapprima il dubbio, poi la conferma da parte di esami più specifici. Davanti ai tuoi occhi, la diagnosi.
Leggendo quelle righe, trisomia 21 libera e omogenea, mi hai chiesto quale altra problematica incompatibile con la vita ci potesse essere. Qualcos’ altro doveva esserci, sicuramente, anche se celato ai tuoi occhi.
No, niente di nascosto mia cara.
Semplicemente la stessa trisomia che accomuna la maggior parte delle persone nate con questa disabilità. La stessa trisomia della mia Emma.
Ti ho ascoltato senza giudicarti, accogliendo il tuo grande dolore di fronte a questa diagnosi prenatale.
Ti ho ascoltato con cura, mentre elencavi tutte le cose negative che un bambino con la sindrome di Down avrebbe portato nella tua famiglia.
Cosa avrebbero pensato i fratellini, e tuo marito. Come avresti potuto gestire una salute così tanto cagionevole, visto il periodo regolato dalla pandemia, vista l’assenza di parenti vicino.
Dolore.
Tanto dolore che questa bambina avrebbe portato con sé alla nascita, in un mondo che l’avrebbe negata.
Tanto dolore a causa delle sicure complicanze annesse alla sua diagnosi.
Suo dolore nel vivere la sua condizione.
Tuo dolore nel non riuscire ad aiutarla vedendola soffrire.
Ascolto in silenzio i tuoi pensieri.
Le tue certezze che certezze non sono.
Perchè potrei farti un elenco lungo lungo di bambini che non sono nati con altre complicanze, Emma compresa. Che pur con le innegabili difficoltà, con tempi dilatati, con tappe di sviluppo non nella norma, mostrano le loro innumerevoli risorse. Bambini che sono creduti, e stimolati, e lasciati crescere secondo le proprie meravigliose inclinazioni.
Accolgo questo dolore, che è il tuo dolore.
Il tuo dolore legato all’ignoto, al non conoscere, al non sapere. Alle mille domande della tua mente senza risposta concreta.
Mi hai chiesto se fosse possibile vivere con un bambino con la sindrome di Down.
E allora mi ritorna alla mente lei, R. che poco più un anno fa era nella tua stessa situazione. Le tue stesse domande a me rivolte, gli stessi dubbi, le tante paure.
R. aveva deciso per la vita. E sentiva di aver fatto la scelta giusta.
Purtroppo il destino non ha voluto farle abbracciare la sua bambina. Un altro tipo di inimmaginabile dolore.
R. quel dolore lo ha trasformato, seguendo una spinta interiore che l’ha portata a stare vicino alle mamme che si trovano in quel nero oblio che ti mette di fronte ad una scelta. Vita o morte.
Ancora oggi lei dice perchè non mi è stato possibile vivere con lei.
Punti di vista differenti. Scelte che non condanno perchè ognuno vive secondo il peso della propria storia. E va rispettata.
Ti vorrei dire un ultima cosa, dolce mamma, mentre ti dedico un lungo abbraccio silenzioso.
Queste sono le parole di mio figlio Tommaso, 14 anni, in uno scritto di presentazione al liceo di scienze umane, al quale si è iscritto. Tommaso non sa che io ho visto questo foglio sulla scrivania, e che l’ho letto. E a quelle parole “ho la fortuna di avere mia sorella Emma con la sindrome di Down”, ho pianto.
Ma quel pianto non era certo di dolore.