Mio figlio Tommaso è sibling.

Sibling è la traduzione dall’inglese di “fratello” innanzitutto, nello specifico riferita a fratello di persona con disabilità. Nel mio precedente post “riflessioni sul mondo dei siblings” ho riportato alcune riflessioni su temi trattati insieme ad una professionista, e in questo mi piaceva aggiungere qualcosa in più.

Nel mondo interiore dei sibling ci possono essere pensieri come:
“i miei hanno già tante preoccupazioni per mio fratello, non voglio mettermici anche io”
oppure
“mio fratello sta male ma io sto bene e devo dare il massimo”
I comportamenti spia di questi pensieri sono:

  • eccessivo adattamento e compiacenza alle richieste (troppo obbedienti e accomodanti) e sforzo,
  • tentativo di essere prefetti, di essere i migliori.

In questi comportamenti rivedo un po’ mio figlio. Poco tempo fa una mamma mi ha appunto scritto che anche suo figlio ha comportamenti simili, accondiscendente e sempre pronto a dare il massimo.
Mi sono confrontata con mio marito, che giustamente ha visioni personali, e insieme abbiamo valutato gli atteggiamenti di Tommaso. E’ un ragazzino a cui piace studiare, che fa con passione i compiti e divora i libri, e secondo Giovanni egli non vive quest’ansia di prestazione.
Ma in questo periodo, dove Emma vuole conferme di sè particolari, volendo arrivare prima, scegliendo dove sedersi a tavola, monopolizzando i canali televisivi, lui spesso cede. (beh, nel fare arrivare per prima Emma, no… ahah!).

Noi genitori gli chiediamo di non cedere, spiegando che non è giusto nè per lui nè per Emma, perchè mai e poi mai vorremmo una bambina dai bisogni speciali che tiranneggia gli altri credendo che il mondo giri intorno a lei, ma questi suoi atteggiamenti vanno “pensati”.
Durante gli incontri con la psicologa di cui ho parlato nell’altro post si diceva che, in questo caso, innanzitutto non bisogna enfatizzare troppo i traguardi scolastici, come i voti alti, che alimenterebbero questo bisogno del bambino di dimostrarsi capace al massimo delle sue forze. Al contrario è opportuno sottolineare positivamente i momenti in cui il bambino si sente arrabbiato:
“Bene, vedo che sei arrabbiato, proviamo a parlarne”.
“Capisco cosa stai provando…”
“Certo, hai bisogno di stare per conto tuo, per calmarti…”

Io penso anche a come mio figlio si sia sentito  dire taaaaante volte “bravo”, fin da piccolissimo. Ad un anno e mezzo già diceva in che via abitava, numero e paese, dimostrava una spiccata empatia nei confronti degli altri, si è subito il mio antipatico periodo “resta sullo scalino per pensare” messo in atto troppo presto. Insomma, io di colpe me ne faccio, e ci associo anche mio marito e i miei genitori.

Ma proprio come mi analizzo nei comportamenti sbagliati, so anche perdonarmi, soprattutto perchè cerco la soluzione agli errori commessi per essere quella madre “sufficientemente buona” (cit. Winnicot).

E sulla questone “ma quanto sei bravo” ho trovato un bell’articolo in rete.

Ecco perchè NON dire “bravo” ad un bambino
tratto dal sito Eticamente.net
1- Il senso che si dà a questa pseudolode è subdolo. Essere bravi, solitamente, vuol dire non aver fatto arrabbiare l’adulto, aver mangiato tutto quello che l’adulto ha preparato, vuol dire non averlo affaticato mentalmente e fisicamente (spesso infatti si dice “è bravissimo, è come non averlo!“). E’ come se lo ringraziassimo di averci reso la vita più semplice. Che cosa tristissima questa… non siamo in grado di innalzarci a loro e di conseguenza chiediamo a loro di abbassarsi a noi. Di conseguenza i bambini associano l’essere bravi a tutte queste azioni che fanno felici mamma, papà o i nonni.

Pensateci bene: quante volte al giorno dite a vostro figlio “Bravo!” ? Tante, troppe volte.

E’ una parola che viene usata se il bambino ha mangiato tutto, se non si è sporcato, se ha messo in ordine, se ha fatto un bel disegno… E’ una parola che viene abusata. E questo uso distorto è talmente diffuso e ritenuto normale che anche i nonni, gli insegnanti, gli zii lo mettono in pratica.

Di conseguenza ci ritroviamo un bambino che si sente dire mille volte al giorno che è bravo ed altre mille volte al giorno che se non è bravo può andar in contro a punizioni, a ricatti, a dispiaceri e via dicendo.

“Se non sei bravo non ti compro quel giocattolo“, “Se non sei bravo non arriva Babbo Natale“, “Devi essere più bravo altrimenti non andiamo d’accordo“… si potrebbe davvero continuare all’infinito!

Due sono gli errori principali che commettiamo nel dire “bravo” ad un bambino.

1- Il senso che si dà a questa pseudolode è subdolo. Essere bravi, solitamente, vuol dire non aver fatto arrabbiare l’adulto, aver mangiato tutto quello che l’adulto ha preparato, vuol dire non averlo affaticato mentalmente e fisicamente (spesso infatti si dice “è bravissimo, è come non averlo!“). E’ come se lo ringraziassimo di averci reso la vita più semplice. Che cosa tristissima questa… non siamo in grado di innalzarci a loro e di conseguenza chiediamo a loro di abbassarsi a noi. Di conseguenza i bambini associano l’essere bravi a tutte queste azioni che fanno felici mamma, papà o i nonni.

2- Ma dire “bravo!” può avere anche una valenza positiva: lodare il bambino perchè ciò che ha fatto o detto è degno di lode. Spesso però anche in questa occasione commettiamo un errore. Il bambino perde nel tempo la voglia di fare le cose per il sano piacere di farle e la sostituisce con il fare le cose per avere la nostra approvazione. Questo atteggiamento lo porterà ad essere insicuro, a non seguire le proprie inclinazioni ma a ricercare sempre l’approvazione ed il giudizio.Ciò che ogni bambino o ragazzo ma anche ogni adulto ha bisogno è una risposta costruttiva che non abbia fini subdoli: ha bisogno di avere una risposta emotiva profonda in quel determinato momento che ci richiede attenzione.

Se un bambino ci mostra un suo disegno non liquidiamolo con un “bravo!” ma rispondiamo alla sua richiesta di parlare del suo lavoro, se è riuscito in un’impresa condividiamo la sua gioia dicendo che siamo contenti della sua riuscita. E al contrario se invece compie un atteggiamento sbagliato non riduciamo il tutto al fatto che non è stato bravo, spieghiamogli perchè il suo comportamento è sbagliato!

Lodare o “sgridare” è facile e spesso poco arricchente, partecipare emotivamente invece è impegnativo ma contribuisce a far sentire una persona importante, degna di attenzione.

Cerchiamo allora di lodare e sgridare di meno e di partecipare emotivamente di più!

Io non ho mai usato la frase killer “se non fai il bravo non ti do questo“, perchè i ricatti non mi sono mai piaciuti, tantomeno i premi ai comportamenti, ma l’ho sentita parecchie volte durante la mia infanzia, soprattutto dai nonni, quasi fosse un must educativo.

E in effetti con la parola “bravo, bene” si risparmia un gran lavorio mentale  (parola che ahimè Tommaso ripropone spesso alle mie domande su come è andata a scuola, a judo, all’incontro con gli amici, ecc.).
Ma una volta che si entra in quest’ottica, e la mente si smuove, si riescono a trovare aggettivi davvero valorizzanti!
A fine seduta di pratica psicomotoria, al bambino che ti mostra il suo disegno (che è una rappresentazione di sè) non si dice “cosa hai disegnato”, ma “raccontami la tua opera”. E ciò che ne esce a volte è sorprendente…

Meditiamo gente… meditiamo!