Siblings… che incredibile mondo interiore hanno grazie alla loro situazione familiare.

Ogni anno, anzi, due volte all’anno, l’Associazione Down Fvg, sezione di Pordenone, organizza un ciclo di incontri con la dottoressa Claudia Furlan, durante i quali vengono trattati numerosi temi: il pensiero positivo, gli stili comunicativi, le regole, il rapporto tra fratelli…

Da anni partecipo, perchè amo nutrire la mia mente e anima, con strategie, punti di vista, quesiti senza precisa risposta, perchè proprio come si va dal dentista o dal dottore quando non si sta bene, così io vado agli incontri con psicologhe, pedagogiste, terapeuti che mi nutrono l’anima, mi strutturano, mi mostrano modelli da cui prendere spunto e creare il mio personale modo di educare ed educarmi… dove educare deriva dal latino: educare composto di e fuori e duco condurre: guidare fuori.
Agli incontri in Associazione Down Fvg il clima che si instaura tra genitori è piacevole, non giudicante, molto spesso divertente, ma oltre ad una propensione all’ascolto delle persone che vi partecipano, che sono lì per il mio stesso motivo, la grande differenza la fa proprio lei, la dottoressa, che “una volta si faceva chiamare dottoressa, oggi è solo Claudia”.

Cosa rende speciale questa donna?

Beh, di cose speciali ne percipisco molte in questa energica donna, che ho il gran piacere di vedere per sole 6 volte l’anno: la luce dei suoi occhi, il sorriso contagioso, la sua risata aperta,  il suo toccarti il braccio per sottolineare l’emozione del momento, il darti il giusto tempo, senza seguire la rigida scaletta della serata, quel suo dire “benon” con l’accento tipico di Pordenone…
Con Claudia non avverto quella distanza impostata di tante professioniste che ho conosciuto, di fronte a te con la loro postura irrigidita, perchè devono mantenere un ruolo, devono seguire la rigida scaletta sull’argomento della serata pensata a colpi di slides scritte in aramaico, il loro incalzare di domande ad una tua domanda, perchè non sia mai che uno psicologo ti sganci un consiglio pratico, così, su due piedi.
Ma soprattutto Claudia non usa quell’intercalare tra una frase chiave e l’altra, da me poco tollerato, quel “mhm?” pronunciato a boccuccia serrata, quasi stesse a significare “mi date ragione?” E di frasi chiave in una serata organizzata da una psicologa ne escono molte… figuratevi i “mhm”!

Claudia è Claudia.
Tu ti doni a lei, con il tuo aprirti, ma anche lei si dona a te, regalandoti un pezzettino della sua vita, che ti fa capire che l’attitudine di una persona si costruisce sì con lo studio e la pratica, ma senza l’empatia lo scambio di relazioni resterebbe sterile.
Forse questa mia ammirazione nasce da una certa affinita di carattere, anche lei, permettimi Claudia, piuttosto “rumorosa”, sta di fatto che difficilmente mi perdo uno dei suoi incontri, perchè la traccia che lascia è, per me, indelebile.
Perciò grazie Claudia, lo stesso immenso grazie che spero di comunicarti nel nostro abbraccio di saluto alla fine dei 3 incontri.

Con il permesso della presidente dell’Associazione Down Fvg, Michela Cesarin, pubblico quanto trattato in quest’ultimo ciclo di serate.
I miei pensieri sul post dovevano essere diversi, o almeno, il mio intento iniziale era quello… ma l’imprevisto è dietro l’angolo, e così mi nasce un post di “riconoscenza” nei confronti di una professionista.
Va così da un po’ di anni a questa parte… gli imprevisti stanno diventando di grande stimolo!

To be continued…

“Come in tutti i rapporti tra fratelli, anche i rapporti tra sibling (è una parola inglese che significa fratello o sorella e viene comunemente utilizzata per definire i fratelli e le sorelle delle persone con disabilità) e fratello/sorella con la sindrome di Down è necessario che il legame sia flessibile, aperto ai cambiamenti e alle molteplici possibilità di evoluzione. Ciò significa che il rapporto tra fratelli può procedere per regressioni e adattamenti reciproci, in un periodo non lineare legato alle tappe di sviluppo di ciascun fratello.
E’ fondamentale che i siblings si sentano autorizzati a esprimere dubbi, sofferenza e difficoltà nella relazione con il fratello o sorella vulnerabile.

1 – Un sibling può essere geloso del fratello/sorella che ha la sindrome di Down, geloso dei privilegi accordati, dal suo punto di vista:

  • può essere convinto che tutti siano troppo tolleranti con il fratello/sorella;
  • che gli consentano di avere comportamenti non consoni alle situazioni;
  • che esigano meno da lui/lei con la scusa che ha bisogno di aiuto.

E’ importante che ai siblings sia data la possibilità di esprimere i loro sentimenti di gelosia, di fastidio e rabbia, di preoccupazione, di paura, di sofferenza, senza colpevolizzarli.

2 – Nel mondo interiore dei sibling ci possono essere pensieri come:
“i miei hanno già tante preoccupazioni per mio fratello, non voglio mettermici anche io”
oppure
“mio fratello sta male ma io sto bene e devo dare il massimo”
I comportamenti spia di questi pensieri sono:

  • eccessivo adattamento e compiacenza alle richieste (troppo obbedienti e accomodanti) e sforzo,
  • tentativo di essere prefetti, di essere i migliori.

3 – Nel mondo interiore dei siblings si può trovare una situazione in cui avvertono di avere difficoltà a sviluppare un rapporto con il proprio fratello/sorella con disabilità per l’ingerenza genitoriale troppo forte (intervento, arbitrario e sgradito, in fatti di non propria pertinenza). L’eccessiva ingerenza genitoriale può interferire con il naturale rapporto tra fratelli e mandare un messaggio ai siblings in cui c’è l’obbligo ad amare l’altro non per quello che è ma per la sua fragilità.

Una riflessione particolare sulla condizione di persone con la sindrome di Down.

Man mano che un bambino con sdD cresce, in lui e in chi lo circonda cresce la percezione della sua “diversità”.
Si accorge magari di fare più fatica dei fatelli o dei compagni di scuola a fare alcune cose o di avere un insegnante solo per lui, di trovare spesso più condiscendenza rispetto ai suoi errori e di potersene a volte approfittare, di essere in altre parole “diverso”.
Ma perchè questa percezione diventi consapevolezza e ne nasca comprensione e accettazione della sua condizione è necessario che nascano momenti in cui “parlarne” e dove la parola “sindrome di Down” assuma significato di diritto di presenza, non come un problema, ma come un elemento di realtà.
Come una volta disse una mamma “in fondo la cosa più importante è dire sempre, pur con i dovuti modi e un linguaggio adatto, la verità!

E’ importante sfatare l’idea che una personcina con sdD possa non accorgersene o che la mancanza di consapevolezza possa rendere la vita più facile.
Come sa bene chiunque, far finta che i propri limiti non esistono non rende felici, ma anzi spesso rende più difficile il contatto con la realtà. Quello che aiuta ognuno di noi nella propria vita quotidiana è saper mettere insieme limiti e risorse, sapere di non sapere o non poter fare alcune cose e al tempo stesso saperne o poterne fare altre.

Per questo in qualsiasi conversazione è necessario tenere presenti i due elementi, sempre su un piano di realtà e mai di illusione o di rinvio. E’ importante inoltre che il nostro “esserci” si basi su cose concrete e verificabili.
Ad esempio, è meglio dire:
non hai la laurea e non puoi fare l’avvocato, ma sai cucinare e puoi lavorare in cucina”
piuttosto che
non hai la laurea e non puoi fare l’avvocato, ma magari se studi molto…”
oppure
“…ma tanto sei la preferita di mamma”.

Spesso operatori, familiari, la gente in genere, tende a sfumare o minimizzare la condizione delle persone con sindrome di Down pensando che non parlare al bambino o al ragazzo della sua condizione, delle sue difficoltà, sia un bene per lui.
Ma tutti noi sappiamo quanto sia importante per ognuno potersi conoscere per quello che ognuno di noi è, chiunque esso sia.
A vole sono i ragazzi stessi a fare delle domande, a volte in modo indiretto a volte in modo più diretto:
“mamma perchè non sono bravo come mio fratello o i miei amici?”
“Perchè ho gli occhi strani?”
“Perchè ho la sindrome di Down?”
“Perchè non mi togli quel cromosoma in più?”
A tutte va data risposta.
Altre volte la domanda non viene fuori, ma la percezione esiste e starà a noi allora creare occasioni per dare spazio al tema.
Dire a un figlio: “tu hai la sidrome di Down” significa rassicurarlo che anche voi avete accettato la realtà con cui lui fa i conti da sempre.
Significa rafforzare il suo senso di identità e permettergli un rapporto più lucido e certamente più sereno con se stesso.