Oggi ho incorciato per strada una signora, tutta vestita di nero, con una lunga gonna un po’ demodè, il viso rugoso rugoso segnato dal tempo, le scarpe deformate da piedi che avevano camminato tanto, i capelli fuori posto e un’aria triste che la invecchiava, anche se non credo fosse così anziana.
Il suo progredire, a passi veloci ma lenti allo stesso tempo lenti, l’attorciagiarsi un’asola della maglia tra le dita nodose, il borbottare a bassissima voce, il guardarsi attorno con aria nervosa e persa allo stesso tempo mi hanno fatto pensare ad una persona sola.
L’ho notata da lontano, come spesso mi capita quando cammino insieme ad Emma e assaporo, grazie alla sua lentezza, ciò che mi circonda.
Non metto in dubbio che certa lentezza concessa è proporzionalmente legata al tempo che ci si riesce a ritagliare da scuola lavoro attività pulizie casa marito figli… ma stamattina il tempo c’era, perciò l’ho utilizzato per osservare insieme alla mia bimba tanti particolari, prima di vedere lei.
La strada era piuttosto trafficata, un andirivieni di auto e persone che parlottavano tra loro, tutte a passo spedito, tutte immerse nei propri pensieri, chi con il telefono in mano che camminava e controllava ciò che vi era scritto allo stesso tempo, chi a braccetto con l’amica, felice di andare a bere un caffè insieme, chi stava raccontando qualche avvenimento importante.
La signora procedeva nella mia direzione, ma era ancora parecchio lontana, vista l’andatura di entrambe.
Mi incuriosiva.
Prima di me camminava un uomo ben vestito, un bel completo grigio, cellulare all’orecchio, voce alta a raccontare di tale riunione e appuntamento rimandato, ridacchiando in modo quasi fastidioso (naturalmente il fastidio era mio).
I due si incrociano per un momento, incerti su chi aveva diritto di passaggio in quel tratto di marciapiede, e si ritrovano entrambi a fare quei classici 3 passi di danza, destra sinistra destra prima di capire la direzione giusta da prendere per passare oltre la persona di fronte.
La signora guarda sempre in basso, registra l’accaduto, e sempre borbottando e pasticciando la sua asola, prosegue. L’uomo grigio sembra essere così infastidito da quel infinitesimale perdita di tempo che sbuffa, passa avanti, si rigira lanciando un’occhiataccia all’anziana, bofonchia qualcosa al suo interlocutore, e prosegue.
Non so se Emma stesse osservando la scena, o se sentisse il mio tono fisico cambiato per quanto appena visto, sta di fatto che incorciata la signora le rivolge sorridendo un sonoro:
“ciao signoa… bongionnoooo!”
e continua a camminare insieme a me.
La signora sembra non averla notata, ma dopo qualche passo si ferma e si gira verso di noi e dice ad Emma:
“angelo”.
Emma nemmeno la sente, credo, ormai entrambe hanno ripreso le loro cose, Emma la canzoncina dell’asilo che parla di “lodi a Gesù che tutto può”, e la signora la sua asola e le sue sommesse parole.
Non so se rivedrò mai più quella signora… ma mi fa ripensare a lui, il bambino sconosciuto che ciclicamente incrocio, e allo strascico di emozioni che mi lasciano dentro questi incontri.
Chi siamo noi per giudicare…
per guardare con occhi infastiditi persona che riteniamo meno meritevole di noi, meno di successo, meno elegante, meno curata, meno intelligente…
… meno felice?
Nella vita i momenti bui arrivano perché tu possa capire quanta luce hai dentro.
Cit. Antonio Curnetta
Ti leggo quando posso. Anche io ho un bambino down, Michele, che ha due anni. Viviamo vicino a Lugano in Svizzera. Bellissimo quello che hai scritto. Nessuno di noi è nessuno, o meglio o forse tutti siamo tutti, tutti esseri umani.
ciao Cristina da Lugano, è un piacere fare la tua conoscenza e sapere che anche tu hai un bambino multicolore… tutti siamo esseri umani, è vero, che si distinguono l’un l’altro per la capacità di evolvere… qualcuno si nega questa possibilità purtroppo. Torna a trovarmi cara…