La relazione è la mia priorità, il mio canale espressivo preferenziale. Osservo, ascolto, parlo, mi modulo per l’altro. Faccio mie le sue parole, e cerco di rispondere in maniera empatica. Perchè la risposta che lui ascolti sia la risposta di cui ha bisogno. Ma è davvero un bisogno? Il soddisfacimento di un bisogno parte da una mancanza.
E la mancanza che avverto… è del suo, o del mio?
Con i bambini è forse più semplice capirlo. Affini le tecniche per osservare il loro non verbale, per decodificarlo e per creare una sorta di griglia di partenza su cui lavorare. Il corpo non mente. Soprattutto in una sala di psicomotricità, dove il materiale è volutamente destrutturato perchè la rappresentazione di sé sia il più trasparente possibile. Lì i segnali di un benessere o di un malessere sono più evidenti.
Ma anche in quello spazio, ciò che il bambino muove dentro di te, riverbera con il tuo vissuto.
Non c’è morale o etica. Solo corpo che si muove ed emozioni che si contrastano.
Cerchi di fare spazio dentro di te, e mostrare uno specchio quanto più positivo possibile, perchè il tuo compito è di farlo evolvere.
A volte avverti la sintonia che si crea quando la risposta è quella calzante, ed è quasi magico. Ti senti una rock star.
Altre volte capisci come non sei riuscita a far calare la tensione, e nessun spiraglio si è aperto. Ancora una volta, nulla si è aperto.
E allora cerchi di colmare quel vuoto che si è creato dentro. Ha lasciato una piccola voragine, tangibile, di colore freddo, forse tendente al viola.
Vuoi riempirlo, devi farlo, troppi buchi ti fanno sentire inadeguata. E agisci con il tuo strumento preferito: la relazione.

Lasci passare la persona dietro di te alla cassa del supermercato perchè ha in mano poche cose; passi i piatti, non solo il tuo ma anche quelli degli altri commensali, al cameriere che sprepara; se un’amica in macchina dietro di te non conosce la strada, fai il percorso più lungo per te pur di agevolarla; in un particolare esercizio di formazione avverti la difficoltà dell’altro e fai in modo di essergli d’aiuto; anche se hai poco tempo e un’amico ha bisogno di parlare resti ad ascoltare; anche tu avresti bisogno di raccontarti stai prima a sentire il problema altrui… e poi magari non c’è più tempo.

Visti separatamente possono sembrare gesti gentili, tipici di una persona emotiva.
Ma messi tutti insieme? Parlano di fragilità, di bisogno di riconoscimento.
Ne sono ben consapevole. Ci lavoro da anni, e ogni anno intraprendo percorsi nuovi per guarire quelle ferite che hanno origini lontane.
Perciò cara C., che quest’oggi mi hai fermato al supermercato, riempiendomi di complimenti, questa è la verità. Io non sono solo sorrisi sinceri, e gioia nel cuore, e leggerezza, e autoironia, e mano sul braccio mentre ti ascolto raccontare i tuoi insormontabili problemi.

Anch’io ho un lato oscuro.

Anch’io sono più che imperfetta.

Anch’io posso dire no.

A volte.

(Anche l’aver scritto questo post mi ha fatto sentire meglio… o forse è il prosecco che sorseggiavo scrivendo?)

Buona consepevolezza a noi!