Oggi volevo scrivere della neve, della libertà e della serenità che mi rimanda vederla e toccarla… ho tante foto, un filmato bellissimo di Emma che gioca a palle di neve…
Ma non è il giorno giusto, non sarebbe un post che parte dal mio cuore, non oggi…

Oggi voglio parlare di speranza. Di famiglia.

Fino a quando si può continuare a sperare che la malattia di una persona cara regredisca?
Fino a quando puoi ignorare i segnali… il respiro diverso, le occhiaie scure, la magrezza, certe tensioni, il colore della pelle, l’insensibilità di alcune parti corpo…
La speranza… la speranza ti aiuta a non valutare oggettivamente la realtà delle cose.

Ti fa sperare che quella persona, con la quale sei cresciuta, continui a combattere. Continui a dimostrarsi agguerrita contro quel terribile male, proprio come riusciva ad andare a sistemare il suo immenso orto dopo ogni trattamento chemioterapico.

Proprio come trovava le energie per prelevarti la cesta con gli indumenti di 3 lavatrici e riportartela stirata in maniera impeccabile, con tanto di lenzuolo con gli angoli ripiegato ed impaccato modello hotel.

Proprio come ti diceva “ti tengo io i bambini visto che devi andare al corso” e poi te li ritrovavi a casa, accoccolati con lei sul divano, a ridere, che ti raccontavano di come avevano raccolto le uova delle galline, prelevato lombrichi dalla terra o tirato la coda al gatto.

Vorresti non ascoltare quella voce interna che ti dice non c’è più niente da fare

E quando hai giorni positivi, che ti fanno capire, per un momento, che la morte è un qualcosa di naturale, un passaggio comune a tutti, e che più accompagni la persona in maniera serena più ricorderai quanto ti bello ti ha donato, quando era in vita, quasi facendo pesare meno il pensiero della sua mancanza.

Ti cerchi di convincere. Credi di esserti convinta.

Ma inconsciamente dentro di te questa tua mistica convinzione ha lasciato un piccolo tralcio avvinghiato alla speranza, e quando ancora una volta questa ti viene spazzata via dall’evidenza, dai responsi dei dottori, ricominci da capo… e soffri.

Tommaso ha 6 anni. Capisce eccome il nostro dolore, e vive il suo.
Parlandomi in bambinesco, verso sera, quando siamo accoccolati a letto, cercando il nostro contatto, guardandoci con occhi terrorizzati quando ci sente parlare sottovoce…
Ieri per una sciocchezza si è messo a piangere, cosa che fa di rado. L’ho abbracciato e il suo singhiozzare mi tagliava il cuore a metà, mi sentivo impotente perchè ero conscia del perchè in realtà stesse piangendo. Mentre sono andata a prendere una coperta su cui stare sotto abbracciati si è rintanato dietro alla poltrona che fa angolo con il muro, quasi formando una specie di tana, e in quel momento ho riconosciuto il disagio che viene raffigurato durante le sedute di pratica psicomotoria… ho preso una tenda e gliela ho messa sopra, come un tetto contentente, gli ho dato una lanterna perchè non si sentisse perso

Dentro a quella casetta improvvisata, solo sua, si è rasserenato, proprio per la simbologia che quel posto richiama, quella del grembo materno

Restando fuori gli ho detto che anch’io sono triste, anche se a volte non so per quale motivo, e che piango…

Ma di sicuro un the con i biscotti ci avrebbe fatto sentire meglio…

Penso a Tommaso…
Penso ad Emma…
Penso alla mia famiglia unita…
Penso alle mamma di MariaChiara, alla mamma di Leo, i cui figli stanno lottando per la vita… loro che ancora non sanno cos’è la vita…
Penso al loro legame, alle loro famiglie, alla sofferenza…

Penso alla loro speranza… perchè non possa mai esauirsi.