Siamo sicuri che andrà tutto bene?

Questo periodo in quarantena causa covid19 lascia molto spazio ai pensieri.
Noi siamo in salute, a casa, in un meraviglioso piccolo angolo di paradiso in mezzo al verde. E’ come se fossimo in una bolla sicura. In un tempo non tempo che ci permettere di vivere la famiglia a 360 gradi. Uno di noi esce a fare la spesa una volta ogni dieci giorni. Andiamo a letto tardi e ci alziamo più tardi. Nessuna corsa per andare al lavoro, o portare i bambini a sport. Non aggiorno la mia agenda da più di un mese.
Quando ci ricapiterà un’occasione del genere?

Spero mai più.

I tanti messaggi positivi che arrivano, un po’ in stile fricchettone, mi lasciano perplessa.
Io che vedo sempre il bicchiere mezzo pieno!
A casa possiamo godere delle piccole cose quotidiane, dare il giusto valore di ciò che abbiamo e ciò che invece è superfluo, ragionare sul senso di mancanza di relazione. Lavorare su noi stessi, meditando, facendo yoga, intraprendendo un viaggio interiore per risolvere qualche vecchia ferita. Disegnare arcobaleni, darsi appuntamento per suonare o cantare tutti insieme, anche se siamo divisi. Partecipare a sfide con foto che ci ritraggono struccate, o coi bambini per dire quanto benedette siamo come mamme, o ai tempi della scuola. Accendere candele o meditare a livello planetario, comporre nuovi hashtag per rendere popolare un nuovo sloagan positivo. Condividere messaggi/catena con notizie fasulle per creare il panico, ma se il messaggio dice “lombardia”, vuoi che non sia una verità?

Ma l’essere umano è un animale adattabile, giusto?
Tiriamo fuori il meglio di noi!

Ebbene, io guardo i miei figli e il loro adattarsi alla giornata. Se io non scandissi i loro orari, sarebbero liquefatti.
Senza un reale scopo, senza l’ansia di andare a scuola, di essere in ritardo, di perdere la partita, di programmare un saggio dove saranno davanti a tutti. Il tempo scorre senza quasi sapere che giorno è.
Noi genitori ci improvvisiamo maestri, li seguiamo con i compiti, tonnellate di schede da fotocopiare e riempire, scovando competenze con il computer che non sapevamo di avere. Magari dobbiamo anche lavorare da casa, concigliando tempo e spazio nostro con quello della famiglia. E se un giorno lontano attiveranno le video lezioni, e noi dovremmo tornare al lavoro, chi li seguirà? I nonni? Quegli stessi nonni che teniamo a distanza e al sicuro per paura del contagio?

E’ vero, il senso di speranza ci deve essere, se non per noi, proprio per i nostri figli.

Ma non sono così convinta che questo lungo lunghissimo periodo di ritorno ai valori veri crei un’immane cambiamento positivo nell’umanità.

Perciò io scelgo di stare in silenzio.

Sperando di realizzare ancora i progetti che mi ero prefissata quest’anno. Provando a reinventarmi in qualche modo sapendo di aver perso entrambi i miei lavori per molti mesi a venire. Dando certezze ai miei figli e contenitori sicuri nei quali rassicurarsi.

Ma in silenzio.
Non mi è possibile vedere il bicchiere mezzo pieno. Non questa volta.

Penso ai dottori e agli infermieri, che vivono una situazione incredibile ogni giorno. Penso alle persone malate che sono in reparto, a come resistono con quel casco che fa respirare ma allo stesso tempo da un senso di soffocamento. Penso a chi muore, senza i propri cari, magari aggrappato alla mano di un infermiere mentre esala l’ultimo respiro. Penso alle mie amiche infermiere, che vivono con il terrore di rientrare dai propri figli con addosso quel maledetto virus. Penso alle ripercussioni psicologiche che questa pandemia crea. Penso ai miei amici vicini, persone che amo, che frequento quotidianamente e che hanno perso un familiare.

Con che coraggio posso dire, a tutti loro, ‘andrà tutto bene’?

Esiste un momento in cui le parole si consumano e il silenzio inizia a raccontare.

Kahlil Gibran