Il gioco dei bambini è una cosa seria.

La scuola dell’infanzia di Emma, scuola paritaria, un tempo affiancata da suore, scuola che esiste dal 1929, ha deciso di reinventarsi.
Avete mai sentito parlare di Reggio Children? Io no, non l’avevo mai sentito nominare prima.

Eppure Reggio Children (Centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini e delle bambine), è una istituzione, forse più conosciuta all’ estero che da noi.
Ma che cos’ è Reggio Children? Una felice sintesi di capitale pubblico e privato, una società a cui il comune di Reggio Emilia ha dato vita con altri soggetti nel 1994, prendendo spunto dall’ idea del pedagogista Loris Malaguzzi. Ma soprattutto è luogo d’ incontro e di scambio culturale per genitori, insegnanti, docenti, ricercatori. Per tutti quelli che, nel mondo, si interessano e si occupano di bambini. Tanti diversi obiettivi garantiscono la vitalità del centro. Innanzitutto valorizzare e divulgare il patrimonio di conoscenze sviluppato nei nidi e nelle scuole d’ infanzia gestiti dal comune di Reggio Emilia a partire dal 1963, una solida rete di servizi in cui è stato elaborato e attuato un innovativo progetto educativo. E poi diffondere un’ idea forte dell’ infanzia, dei suoi diritti e delle sue potenzialità spesso ancora misconosciuti. Sempre al centro è affidato il compito di promuovere studi e ricerche sui temi dell’ educazione e dell’ apprendimento. E organizzare iniziative, convegni, mostre intorno alla cultura dell’ infanzia.

L’accoglienza nella scuola è cambiata, non più nel salone affollato, ma nelle aule, per rispettare tempi e modalità dei bambini, lo stesso vale per il momento del saluto pomeridiano, dove in una sorta di circle time i bambini lasciano i loro giochi fino al giorno successivo. E laboratori esperienziali, dove per apprendere un concetto tutti i sensi vengono stimolati.
Mi piace la nuova veste dell’asilo. Mi piace che una scuola così vecchia decida di “stravolgersi”.
Quello che riporto sotto è un articolo che le maestre hanno lasciato a disposizione di noi genitori.
Io naturalmente l’ho fotocopiato, perchè così risonante con me, con il mio modo di vedere il gioco dei miei figli, con la pedagogia della pratica psicomotoria Aucouturier, così ricco di spunti.

Il gioco dei bambini è una cosa seria. Perchè é una fantastica palestra di vita.
Insegna a mettersi nei panni degli altri, a darsi delle regole, a negoziare, a conquistare spazi di libertà. Ma per acquisire abilità i piccoli devono giocare con i loro amichetti. O con mamme papà, a patto che sappiano mettersi a servizio dei figli.

“Martina oggi hai il corso di danza. Domani pianoforte. Dopo domani viene la maestra di inglese.” Ha solo cinque anni, ma ha già un’agenda fitta di impegni. L’anno prossimo, quando andrà a scuola, sarà anche peggio. Lo studio si aggiungerà alle attività che mamme papà hanno programmato per lei. Sicuramente Martina sarà avvantaggiato da adulta: padroneggierà senza fatica due lingue, avrei imparato bene la musica, avrà un fisico allenato. Ma potrà dire di aver giocato? Di essersi divertita con gli amichetti e di aver esplorato il mondo con la curiosità che solo gli occhi di bambini hanno? E’ appena uscito libro di Peter Grey, psicologo americano ricercatore alla Boston University, che ha un titolo significativo: “lasciateli giocare”. Lo studioso rimpiange  i bei tempi in cui i bambini si arrampicavano sugli alberi o correvano in cortile. Oggi questi spazi spesso non esistono più. La presenza di 1000 pericoli e la tendenza all’iper protezione spingono i genitori a tenere i bimbi in casa e a riempirli di giocattoli, ma nessun oggetto, secondo Grey, può compensarli della libertà di cui sono privati. Il gioco in gruppo è un autentico laboratorio di socialità, in cui si imparano le regole del vivere con gli altri. Ma non solo. Per capirne di più, ci siamo rivolti ad Anna Bondioli, docente di pedagogia generale e sociale dell’università di Pavia, e autrice di numerosi libri sul tema del gioco.

Professoressa Bondioli, perché il gioco è così importante? Quali funzioni assolve?
Molteplici. È importante dal punto di vista emotivo e affettivo. Quando bambini riproducono per finta una situazione, rappresentano i loro problemi le loro paure. Creando un lieto fine, li esorcizzano. Per esempio quando il piccolo torna a casa dopo la visita del dentista e gioca al dottore con la bambola, e padroneggia una situazione che poco prima stava subendo. Facendo finta, poi, realizza situazioni non reali e impara l’arte e dell’astrazione, cioè rappresentare le cose diversamente da come sono, che è alla base del pensiero scientifico. Nel gioco, inoltre, si impara a seguire delle regole e si apprende la perseveranza. Sono capacità che in futuro servono anche nel mondo scolastico.

Il bambino si dà delle regole da solo? Sì. Il gioco è libertà. Quando costruisce un castello di sabbia e questo crolla, è il bambino a decidere se rifarlo e come. Autoimponendosi le regole, impara aspetti importanti della vita. Se un adulto lo costringesse ad agire, si ribellerebbe.

Il gioco aiuta anche a socializzare? Certamente, consente lo sviluppo della capacità di decentramento, cioè di vedere le cose dal punto di vista di un’altra persona, superando l’ egocentrismo. Quando si gioca fare mamma e papà, per esempio, il bambino cerca di immaginare cosa pensa l’altro e come si comporta. Dal punto di vista della socialità, inoltre il gioco è un banco di prova, in cui si impara a negoziare con gli altri. È un esercizio di democrazia. Si collabora, perché giocare insieme è più divertente che da soli. Ma per vivere questo piacere, occorre superare il proprio punto di vista individuale, trovare un terreno di incontro. Chi non accetta, viene buttato fuori dal gioco. La volta successiva imparerà a mediare, per non essere escluso.

Giocare con altri bambini è una vera palestra di vita. Ma oggi non ci sono più i cortili, i boschi, la campagna. E i genitori sono iper protettivi. Dove andare?
La sicurezza è un problema reale. E l’ atteggiamento iperprotettivo è legato al fatto che spesso si ha un solo figlio, su cui si investe tanto. Non ci si fida del mondo esterno, perché si è perso il senso della comunità. I luoghi in cui i bambini possono condividere momenti di gioco sono i nidi e le scuole dell’infanzia, che hanno quindi un ruolo importante. Devono valorizzare il gioco e gli adulti responsabili sono tenuti a creare le condizioni perché i bambini possano stare insieme in modo spontaneo e libero.

In realtà, tra corsi e lezioni, fin dall’ asilo il tempo del gioco è ridotto.
Sì, c’è la tendenza a precocizzare l’apprendimento, sottraendo tempo al gioco. Inoltre, gli educatori spesso privilegiano le attività sedentarie. Invece è importante che bambini possano anche muoversi, per un sano sviluppo fisico. A Berlino, per esempio, esistono dei parchi giochi dove, sotto sorveglianza di adulti, i piccoli possono vivere l’avventura di stare all’aperto, correre, costruire capanne. Riappropriarsi degli spazi esterni. Occorre tener presente che il corso di inglese o di danza sono momenti diversi dal gioco, perché il bambino è sollecitato ad ottenere un risultato ed è sottoposto a stress. Il gioco è invece libertà e uno spazio di interiorità, aiuta a essere in contatto con se stessi. Noi adulti non giochiamo più, ma ci teniamo degli spazi di libertà. Non dimentichiamo che anche il bambino ne ha bisogno.

Qual è il ruolo degli adulti?
Il gioco ha tante funzioni positive, ma può anche essere cattivo. L’adulto è ha il compito di proteggere l’area del gioco, allestire e intervenire, se necessario. Prendiamo il gioco della guerra: va tutto bene finché bambini simulano l’aggressione, come fanno i cuccioli di animali. È solo un gioco, e non li potrta ad essere per forza violenti da adulti. Ma se si picchiano, cessa di essere tale.

Quanto conta che il genitore giochi con il figlio?
Molto, e purtroppo non avviene spesso. Devi farlo da compagno docile, mettendosi al  servizio del bambino, in modo ludico. In situazione di parità, si rinsalda il rapporto emotivo e affettivo. Il bambino si sente valorizzato dal genitore per ciò che sa fare meglio, cioè giocare, e si rafforza la sua autostima. Bisognerebbe sempre approcciarsi ai bambini senza essere intrusivi, con atteggiamento di curiosità e di valorizzazione. C’è una scuola per l’infanzia a Fossano, in provincia di Cuneo, dove per due mesi all’anno i piccoli sono liberi di giocare in stanze attrezzate, nelle quali scelgono cosa fare mentre gli educatori li osservano. Poi bambini e adulti si confrontano, fanno il punto cuoi giochi preferiti e progettano come arricchirli. Per esempio, se è piaciuto il gioco dei pompieri, organizzano visite con i bambini alla caserma locale, o costruiscono un idrante.

Per la qualità del gioco conta che i bambini si conoscano e si frequentino?
Senz’altro. I benefici che il gioco offre si riscontrano solo se i piccoli sono dei giocatori esperti, se c’è continuità nel gruppo di gioco e nasce l’amicizia. Spesso i grandi dicono “i bambini giocano con chiunque”, ma se compagni continuano a cambiare, il gioco risulterà povero.

Videogiochi e pc, cosa ne pensa?
Non ho nulla in contrario se sono adatti all’età. Ma non possono essere l’unica forma di gioco per un bambino. Serve contatto con i coetanei, pena l’isolamento. Inoltre, il gioco tradizionale aiuta anche a sviluppare la manualità e il rapporto con gli oggettii. Nel mondo virtuale, posso distruggere qualcosa e riaverlo integro qualche secondo dopo. In quello vero, quando rompe una bambola, non si aggiusta più. È bene che il bambino abbia questo senso della realtà.

Un consiglio finale genitori.
Giocate con i vostri bambini e non sovraccaricarli di attività. Se dovete affidarli a una scuola d’infanzia, sceglietela bene. Verificate che non ci siano soltanto tavolini, ma anche angoli gioco con i materiali necessari, e non un unico spazio grande dove tenere tutti insieme.

Una buona indicazione. Ma perché?
I bambini giocano meglio se divisi in piccoli gruppi. È una scelta importante: venendo a mancare i cortili e luoghi di una volta, le scuole di infanzia diventano davvero strategiche perché i piccoli possano vivere i benefici del gioco.

 

Janusz Korczak – “Quando ridiventerò bambino”

Dite:
è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi
al loro livello,
abbassarsi, inclinarsi, curvarsi,
farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere
obbligati ad innalzarsi 
fino all’altezza
dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi,
alzarsi sulla
 punta dei piedi.
Per non ferirli.