Da tanto volevo rivedere Stefano e Silvana e la loro colorata famiglia.
Stefano… le sue incredibili foto e il suo 21 minuti, racconto dedicato al loro bambino nato con sindrome di Down.
Così, senza troppi progetti e confronti di date auspicabili per entrambi, nel giro di 24 ore abbiamo deciso:
“domani veniamo da voi… fatta?
Fatta! E con tanto di “man sgorlanti”, come usano dire da queste parti, cioè senza nulla portare, nè antipasti, nè dolci, perchè i cuochi di casa avevano già pensato a tutto.
“Basta veniate voi… è già un dono!”
Un dono. Ciò che si da o riceve senza niente in cambio.
Fa piacere sentirsi dire così.
Sapere che una famiglia ti accoglie a braccia aperte, curando tutti i particolari per metterti a tuo agio, si prodiga per preparare il cibo che più ti può piacere, presentandoti un dolce che ti coccola, negli occhi e nel sapore, (la tri-mousse era fantastica!) e una grigliata di carne cotta alla perfezione.
Fa pensare.
Fa pensare come è bello essere nella mente di qualcun altro.
Bello, emozionante, positivo e quasi vitale direi… cosa saremmo senza relazione con gli altri?
Senza chiaccherate evolutive? Senza spunti di riflessione?
La “pozza per far sguazzare i bambini”, così me l’aveva descritta Stefano, si è dimostrata una piscinona alta 120 cm!
E se da una parte Tommaso era entusiasta di potersi tuffare e nuotare liberamente, dall’altra Emma era un tantino spaventata dalla profondità dell’acqua, paura arginata dalle amorevoli braccia di una sorellona acquisita, Anna, che con gesti così teneri e allo stesso tempo decisi, cercava di farle passare la paura.
Luminosa giovane Anna. Tu sei l’esempio di come essere sorella di un bambino con disabilità possa portarti a fare scelte positive e importanti nella vita.
Quando si sta bene con qualcuno, quando si crea quell’alchimia che solo le affinità d’anime favoriscono, non esistono tempi morti o silenzi imbarazzanti.
Non si parla del troppo caldo, e che non esistono più le mezze stagioni.
Si parla di NOI, attraverso la propria casa, gli oggetti che ci descrivono, in ogni loro sfumatura.
Si dona la propria conoscenza, il proprio credo e pensieri più profondi, confrontandosi e facendoci fondere allo stesso tempo, pur restando individualmente diversi.
Oh… la diversità.
Come sarebbe tutto più semplice se la si definisse semplicemente unicità.
Io esisto grazie a te, ma resto unico ed irripetibile.
Ma non è semplice. Non lo è affatto.
Specie se di mezzo c’è l’emozione.
L’emozione che è vita, ma che a volte offusca, ci fa percorrere strade che riteniamo adatte, sicure… necessarie?
Ma a volte quell’emozione, che è nostra e solo nostra, magari nemmeno altrui, dovremmo spingerla lontano, sedendosi per terra, socchiudendo gli occhi, respirando a fondo, cercando di ascoltare quel cuore che mormora e si scontra con la mente così razionale.
Ohh… quante volte perde questa battaglia il cuore.
Lui che ragiona con onde di energia, strette allo stomaco, farfalle che solleticano, morbidi sorrisi…
La mente vuole vincere, avere il sopravvento, metterlo a tacere, zittirlo al più presto incastrandolo in quella sua gabbia fatta di priorità, azione e conseguenza, schemi di sviluppo.
Difficile conciliarli.
Permettere loro di parlare insieme, portando a decisioni amorevoli e sensate allo stesso tempo.
Il mestiere del genitore, di qualsiasi “buon” genitore, è fatto di dubbi costanti e di proposte di soluzioni, messe in atto al meglio delle proprie possibilità.
“I nostri figli hanno i migliori genitori che potevano capitare loro”, mi è stato detto una volta ad un corso…
Ma i nostri figli sono i migliori figli che ci potevano capitare?
Passano il nostro personale test di sufficientemente brillanti, prestanti, autonomi, in grado di mettere in atto strategie adatte per la risoluzione dei problemi?
Forse, fermandosi a guardare LORO, potremmo ritarare quell’intricatissimo test di scansione personale, mettendo a tacere i milioni di domande, peraltro senza risposta, sul loro futuro.
Grazie per quanto ci avete donato ieri.
Ho nel cuore il vostri occhi pensanti…
Ricorda quanto hai scritto:
“Crediamo di poter esaltare le potenzialità di ragazzi con disabilità ponendo l’attenzione su ciò che sanno fare e non sulle loro incapacità”.
Silvana mi ha fatto conoscere questo racconto, che l’insegnante di nuoto di Francesco le ha regalato.
Perciò mi chiedo:
I nostri figli…
sono…
semplicemente…
Felici?
LA PINNA FORTUNATA
Recensione del film “Alla ricerca di Nemo”
di Alessandro CapriccioliMi capita con una certa frequenza di guardare un film, o più spesso un cartone, insieme al più grande dei miei due figli, Andrea, che ha compiuto cinque anni il giorno di primavera, e che ha conosciuto la disabilità da quando è al mondo grazie al confronto quasi quotidiano con mio fratello.
E’ un’abitudine che coltiviamo con un certo compiacimento ogni fine settimana: lo vado a prendere il sabato mattina, ce ne andiamo al supermercato a scegliere quello che mangeremo insieme nel week end, portiamo il cane a fare un giretto e poi pensiamo al cartone che guarderemo insieme la sera; il che, in genere, si risolve in una disputa accesa e articolata, che finisce per essere il momento più divertente della giornata. Tuttavia qualche settimana fa, quando nei negozi è apparso il DVD di “Alla ricerca di Nemo”, ci siamo risparmiati la solita mezz’ora di concertazioni e siamo tornati a casa con pochi dubbi e con la scatola nuova di zecca nella bustina di Blockbuster.
Tendo a immedesimarmi molto, forse troppo, nel ruolo di educatore che è insito nella figura del papà; ogni volta che guardo un film con Andrea non resisto alla tentazione di chiedergli se quel film ci insegna qualche cosa, o più semplicemente se se ne può trarre una morale, e di spiegargli quale sia, secondo me, il significato di quello che abbiamo appena visto insieme. Per non sbagliare, spesso mi sorprendo a prepararmi il discorsetto mentre il film è ancora in corso, col risultato che mi trovo a rifletterci per primo io stesso, molto più attentamente di quanto mi capiti quando sono da solo.La storia del film è quella di Marlin, un pesce pagliaccio che, dopo l’aggressione di un barracuda alla propria casetta appena costruita sotto un corallo, si ritrova ad allevare da solo l’unico figlioletto superstite, Nemo per l’appunto; il piccolo è sveglio e curioso, ma è nato con una pinna atrofica, il che gli attira addosso le ansie del papà, che vorrebbe preservarlo per sempre da tutti i pericoli dell’oceano sconfinato.
Ben presto per Nemo la situazione diventa intollerabile, al punto che il pesciolino, pur di dimostrare al padre di essere in grado di condurre una vita normale nonostante la pinna “fortunata”, si allontana nelle acque profonde, viene intrappolato da un pescatore subacqueo e finisce prigioniero nell’acquario di un dentista australiano.
Papà Marlin si lancia coraggiosamente al suo inseguimento, ma per trovarlo dovrà egli stesso vincere le proprie insicurezze, attraversando l’oceano per arrivare all’altro capo del mondo: in questa impresa verrà aiutato da una pesciolina in cui si imbatte strada facendo, Dori, che soffre di perdita di memoria a breve termine e si dimentica continuamente dove sia e cosa stia facendo.
Il piccolo Nemo, da parte sua, riceve aiuto e conforto dai pesci che incontra nell’acquario: fra questi Branchia, un pesce tropicale catturato dagli umani dopo una vita vissuta in all’insegna del pericolo e dell’intensità, nonostante sia affetto dalla medesima disabilità di Nemo. E’ proprio lui a nutrire verso il pesciolino quella fiducia che il papà, troppo apprensivo, non aveva saputo riporre in suo figlio; è grazie a lui che Nemo trova la forza di saltare fuori dall’acquario, andando incontro al padre e alla ritrovata libertà.
Il salvataggio, ovviamente, va a buon fine, e tutti i pesci della storia si ritrovano felici e contenti nel gran finale in stile Disney; ma la cosa più importante è che Marlin si rende conto di aver formulato una serie di giudizi sbagliati: nei confronti di suo figlio, che riteneva incapace di condurre una vita autonoma nonostante la malformazione che lo affligge; nei confronti della smemorata Dori, che lui considerava un peso, e che invece si rivela fondamentale per il buon esito dell’avventura; nei confronti di se stesso, fino a quel momento troppo ansioso ed apprensivo per affrontare la vita con la necessaria leggerezza.Mentre scorrevano i titoli di coda pensavo a quello che avrei detto a mio figlio: immaginavo di raccontargli quanto sia vero che anche le persone con disabilità sono esseri umani capaci di percorrere la loro strada in modo autonomo; quanto quelle persone possano essere utili agli altri, se si riesce ad abbattere il pregiudizio secondo il quale non possono costituire che un peso e una preoccupazione; quanto spesso succeda, al di là delle definizioni, che i disabili siamo noi, i cosiddetti “normali”, talora vittime dei nostri stessi limiti, che ci precludono la possibilità di impiegare al meglio i mezzi di cui disponiamo. Gli avrei voluto spiegare che tutti, proprio tutti, a ben guardare, abbiamo una pinna “fortunata” da qualche parte, e che aiutare ed essere aiutati fanno parte dello stesso meccanismo, basato unicamente sul rispetto e sulla fiducia nei confronti degli altri.
Poi, proprio mentre stavo per aprire la bocca, mi sono reso conto che la morale del cartone non era diretta a mio figlio, ma a me. Mi sono alzato, sono andato fino al frigorifero, ho tirato fuori due gelati e ho chiesto a lui di spiegarmi il film che avevamo appena guardato.Ovviamente, Andrea aveva già capito tutto da solo.
Alla ricerca di Nemo, USA, 2003; titolo originale: “Finding Nemo”, casa di produzione: Disney-Pixar
Il testo è destinato alla pubblicazione sul periodico quadrimestrale dell’AIPD “Sindrome Down Notizie”.
Sei passata sa Silvana enon sei venuta a trovarci?!?! Birbantella!!!!!
ehhhh Eli ci avevo pensato eccome! ma i tempi erano stretti stretti… e poi ci si vede il 19 giusto??