Alla nascita di Emma mi chiedevo spesso “quale sarebbe stato il ritardo mentale di una bambina con sindrome di Down“. Mi avevano detto che i miei geni e quelli di mio marito erano semplicemente la base da cui partire, poi tanto avrebbe fatto l’ambiente, il tipo di intervento dei terapisti, gli stimoli familiari.
Questa mancanza di risposta immediata mi aveva messo in una condizione di continua ricerca su quale potesse essere il metodo migliore per far sì che Emma progredisse. Volevo mettere dentro il più possibile, e contemporaneamente volevo che lei tirasse fuori ciò che aveva da dare, in tempi brevi perchè avevo davvero bisogno di quella risposta.
Ricordo come il mio amico Alessandro Mosconi sorridesse a questa mia ansia da prestazione, mi diceva che mi sarei calmata, che mi sarei affidata ad un’unico dottore di riferimento, (e non a 3), che avrei iniziato a gioire delle abilità di Emma e non a voler cancellare le sue non-abilità. L’avrei semplicemente accettata per quello che era: una bambina unica.

Ultimamente Emma sta parlando tanto, ripete le parole che le vengono dette, cercando di sillabarle e correggendosi nella pronuncia, crea delle piccole frasi, intenzionali, e spesso sono capibili anche da chi non è della famiglia. Per questo mi sento di raccomandare l’unico grande consiglio che ho trovato prezioso fino in fondo, ed è stato il dott. Lagati a proporlo, nel suo Corso per corrispondenza per genitori di bambini con sindrome di Down (che potete ordinare alla mail che segnalo nella mia pagina “sindrome di Down”):
Parlare ai nostri bambini.
Di continuo. Dando voce alle loro azioni, mettendo parole su cosa stanno facendo, anche se l’azione sembra semplice.

Ohhhh, (e l’enfasi piace ai bimbi!) hai preso il tuo sonaglio con la mano. Bene! con la ma-no”

“Sei riuscita a salire da sola la scala dello scivolo. Sei sullo sci-vo-lo. Guarda come sei in alto adesso. In alllltooooo!”

All’inizio, proprio come dice Lagati nel Corso, ci sembrerà strano sentirci parlare così spesso, magari ci potremmo sentire imbarazzati nei confronti degli altri adulti che ascoltano. Ma una volta abituati, ci risulterà normale agire in questo modo.
Se poi alle parole aggiungiamo un sorriso, uno sguardo fiducioso, una vicinanza che ci permette di trasmettere il messaggio “eccomi, sono qui che ti ascolto”… beh, io penso che questo faccia la differenza.

E magari potremmo veder crescere un bambino che ama parlare, che si sforza di farlo, a dispetto della sua ipotonia, e che nei propri occhi mostra il risultato della nostra fiducia riposta…

la gioia nell’imparare a crescere.