Non ti vedevo da un po’, piccolo ometto.
Mi ero tanto domandata come saresti tornato, se mi avresti raccontato cosa i tuoi occhi curiosi e velati avevano visto.
Sì, eri nella mia mente.
Nel bene. Perchè mi tocchi dentro.
Nel male, perchè ancora non so qual’è il canale giusto per arrivare a te, per aiutarti a sentirti meglio.
Ti osservavo… i tuoi dolcissimi lineamenti, la tua tensione e ipotionia allo stesso tempo, il tuo modo di camminare, le braccia un po’ aperte quasi a volersi tenere in equilibrio, i tuoi salti disarmonici, i tuoi rotolamenti privi di limite.
Hai pianto tanto oggi.
Ed è già un passo in avanti.
Un pianto che era di frustrazione, rabbia, sconforto, ma anche di liberazione.
Perchè in quella sala il giudizio non c’è.
La tua voce roca, il gesto che abitualmente fai per levarti le lacrime… quasi cancellartele dal viso.
Li ho bene in mente.
Ma sapevo che qualcosa di diverso c’era.
Lo vedevo.
Il tuo corpo lo preannunciava.
E quando hai incontrato il mio sguardo, che da lontano era posato su di te da tempo, hai quasi sorriso, quel tuo non sorriso d’occhi che mi apre interrogativi, e questa volta, la primissima volta, mi hai rivolto un gesto di apertura, tendendomi una mano.
Mi sono sentita risucchiare in quel gesto, avrei voluto prenderti tra le braccia, e cullarti, e dirti che tutto sarebbe andato bene…
Sì, tutto si sistemerà, piccolo ometto.
Ma non è quello il mio compito.
Oggi hai finalmente accettato di essere a tua volta disponibile.
E questo è un enorme passo avanti.
Perchè lì il giudizio non c’è.
Non c’è buono, o cattivo.
Solo l’essere bambini.
Grazie piccolo ometto. Per la tua lezione di oggi.
Grazie mia Emma… senza il tuo arrivo mai avrei intrapresto un simile percorso di studi.
Mai sarei riuscita a desiderare di salire così tanto in alto.