Io e Katia andiamo al parco Hemingway di Lignano Pineta. É un bel parco, dove poter correre tranquillamente, a piedi e con la bicicletta, in un percorso di Sali e scendi davvero piacevole. Nella zona dei giochi c’è pure una carrucola, dove ci si siete e si viene spinti… ok, confesso, dove solo i bambini dovrebbero sedersi!

Incontriamo un bambino di 3-4 anni, non parla, indossa un grande bavaglio e forse ha una malformazione al braccio. Guardo i genitori, seduti su una panchina, che lo osservano e parlano sottovoce, un pò tristi. Che dire… bisogna viverlo e basta, senza giudicare, perchè l’accettazione di ognuno ha tempi diversi. Poi noto un’altra bambina, nemmeno avessi il “laternino per bimbi speciali” ora, che si avvicina a noi, per salire sullo scivolo. E’ un pò goffa, e ha una strana espressione. Sento i suoi nonni in lontananza, parlano di lei con qualcuno al telefono, dicendo che è una bambina da seguire sempre, che non la si può mai lasciare sola, e a me verrebbe da chiedere che cosa ha, ma poi sto zitta. E se mi sbagliassi? E se non avesse nulla di strano? Nessuna condizione genetica particolare, nessun ritardo cognitivo?

Mi pare quasi di volere trovare il difetto negli altri bimbi, quasi per un “mal comune mezzo gaudio”…

Poi sento mio marito parlare insieme a quei nonni, e dire timidamente di Emma, della sindrome di down, e quella nonna risponde che se n’era accorta…

Ma come, si vede? Io che quasi non noto più quegli occhi diversi… proprio come mi aveva detto la mamma di Alexa. “Vedi la tua bambina, e noti meno i tratti della sindrome”.

Mi sa che ne ho ancora tanta di strada da fare.