Ho ancora davanti agli occhi il tuo sguardo.
I tuoi incredibili occhi azzurri, quel genere di colore che ti affascina e ti inquieta allo stesso tempo. Mentre li osservo e mi nascono considerazioni, li distogli, chiudendoli per qualche lungo, lunghissimo secondo. Mi rendo conto che non sei ancora pronta ad uno sguardo così diretto, quantomeno non il mio. Ti vorrei chiedere scusa per averti in qualche modo messa a disagio, e sposto la mia attenzione sul tuo bel viso.
Il tuo sorriso è speranzoso, spero non perchè stai parlando con me, ma perchè sotto sotto nutri speranza per la tua bimba. Ma è ancora troppo coperto da veli e veli di tristezza.
Ed è giusto così.
Trovo necessario quel primo assorante dolore, necessario per una reale rinascita.
Vorrei farti una carezza, perchè capisco come stai, e togliere quei veli per mostrarti quanto più lumioso sarà poi quel tuo sorriso, una volta che avrai davvero visto tua figlia.
Tempo, mia cara, tempo.
Tempo che so benissimo che ora vorresti proiettare in avanti, per avere le risposte ai tuoi mille dubbi e paure.
Sposto lo sguardo verso tuo marito, e bam… rimango senza parole.
I suoi occhi sono di colore scurissimo, con uno sguardo che comunica infinite emozionanti parole. E’ fermo su di me, e in un nanosecondo mi parla di quiete, accettazione, fiducia, direi quasi gratitudine. Questa volta ho la certezza che non è perchè sta parlando con me, ma perchè oramai intravede la sua bambina per chi realmente è.
Sorrido.
Cerco di riprendere l’espressione accogliente che avevo prima, ma sento ancora il potere di quegli occhi, e soprattutto, avverto dentro il significato di quello sguardo.
Il mio cuore sta saltando di gioia!
Vorrei abbracciarti e dirti che ho già vissuto un’esperienza simile, 2 anni e mezzo fa, nel conoscere una coppia di neo genitori che aveva da poco saputo che la loro bimba aveva la sindrome di Down.
Vorrei abbracciarti e dirti che andrà tutto bene, proprio come è stato per loro.

Anche in quella situazione la mamma faticava e il papà sosteneva.
Ma il suo non era un semplice sostenere.
Era credere in quell’opportunità di vita, cogliendola come una possibile trasformazione reciproca.
Era rallentare, ascoltarsi dentro per fare posto allo sconosciuto e renderlo conosciuto, passo dopo passo.
Era cambiare punto di vista perchè quella bimba era stata desiderata, e ora chiedeva solo amore.
Era vivere giorno per giorno, accettando il turbinio di emozioni negative che un bambino con disabilità porta con se, esternandole per mandarle sempre un po’ più lontano.
Era soprattutto credere in quegli attimi in cui vedi oltre la sindrome di Down, con il cuore gonfio di gioia, e ti ritrovi innamorato di quel visino, di quelle espressioni a volte buffe. Attimi che sarebbero diventati sempre più frequenti.
Era sapere che sì avreste dovuto supportare e aiutare a crescere, ma poi concerdere quella giusta distanza, necessaria per sviluppare l’autonomia di vostra figlia. Non l’autonomia funzionale, ma l’autonomia di pensiero, quella che rende ogni bambino consapevole del proprio essere individuo nel mondo.

Che veloce la mente umana.
In così pochi secondi ho rivissuto la specialità di quella coppia, Silvja e Yazec, e trovato così tante similitudini con voi. Similitudini che mi fanno sperare in un tuo star meglio.

Poi, a conferma di questo mio viaggio mentale, le calme parole di quel papà:
“Ieri, sul lettone, nostro figlio di appena 2 anni,  guardava e accarezzava sua sorella, e sorridendoci ha detto: bravi mamma e papà… l’avete fatta perfetta!”

E il sorriso mentre pronunicava quella frase, ancora oggi, mi scioglie il cuore.