Se solo si guardasse oltre, quanto si potrebbe vedere!

A distanza di 8 anni dalla nascita di Emma, la domanda”non lo sapevate in gravidanza?” mi suscita ancora emozioni.
Emozioni controllate, perchè mi prendo del tempo per osservare la persona che mi fa questa domanda.
Da che parte del tuo cuore nascono quelle parole?
Che genere di risposta vuoi che io ti dia?
Vuole soddisfare curiosità, pena, paura o reale interesse?
Ho guardato i profondi occhi scuri della ragazza che mi ha posto questa domanda.
Ho respirato, sorriso, aspettato che i suoi occhi sfuggenti per un momento trovassero di nuovo il coraggio di agganciarsi ai miei.
Aspettato… ancora un po’… e ho iniziato a parlare.
“Sai… se solo si guardasse oltre”

“Se solo si guardasse oltre la fitta coperta di grigi pregiudizi che l’idea della disabilità tesse nelle nostre menti, ti stupiresti di quanto spazio c’è.
“Spazio?”
“Sì, spazio, spazio che ti puoi permettere di riempire, concedendoti il tempo per metterci la cosa giusta, e non la prima che ti arriva. Parole da scrivere su un foglio bianco, senza veemenza.”

Perchè non è detto che le prime emozioni che ti arrivano siano quelle più profonde, anzi, sono sicura che siano quelle superficiali, impetuose perchè nascono dalla pancia. Non intendo dire che non siano vere, lo sono eccome, proprio perchè spontanee… io vivo di emozioni! Ma per sentire realmente, e lasciare traccia, una traccia duratura, che porti alla comprensione di qualcosa di sconosciuto, bisogna scendere.”
“…Scendere?”
“Sì, nel profondo. Immagina di essere piccolissima, un piccolo esserino vivente che guarda attraverso gli occhi del tuo corpo ma che ha la capacità di veicolare attraverso di esso. Percepisci ciò che il cervello decodifica alla vista di quell’immagine, e osservi ciò che avviene dentro al tuo cranio. Recettori che si accendono, sinapsi che si susseguono e illuminano canali infiniti ed intricati di pensieri/azioni.
Ma lì è troppo tecnico, e decidi di scendere, facendoti spazio tra quelle trame fitte e arrivi alla gola. Una gola che può essere contratta e chiusa oppure morbida e accogliente a farti scivolare. Se la trovi chiusa, aspetta, dalle tempo, le emozioni condizionano tutto il corpo. Respira.”

“Ecco, vedi che ora ti lascia scivolare? Arrivi nella pancia, che è in subbuglio. Contrazioni, distensioni, mani che la toccano da fuori. Accarezzala da dentro, falle capire che sei lì, che non hai fretta, che andrà tutto bene. Fallo con intenzione.”

“Vedi volti felici intorno. Mani che accolgono, braccia che cingono, sorrisi d’occhi che fanno a tua volta sorridere gli occhi dai quali hai appena guardato. Senti come si distende la pancia? E’ meno contratta, e alla tua persona sta passando l’esigenza di muoversi troppo, o di restare impietrita.
Lo inizi a sentire?”
“Sì… forse… ma cosa?”

“Aspetta… datti ancora una momento…”

“Osserva ancora. Il potere degli occhi sinceri, dei sorrisi veri, delle relazioni che si intrecciano, anche tra sconosciuti che sono lì in quel momento. E’ come se tutto si amplificasse. Immagina un piccolo nucleo dal quale partono scariche elettriche di positività che contagiano chi è in reale ascolto in quel momento.”

“C’è chi inconsciamente e involontariamente si scansa all‘arrivo di quel fiume di luce, e volge la testa, spesso l’intero corpo, da un’altra parte. Pazienza, non fargliene una colpa, non è ancora arrivato il suo momento per vedere oltre.”

“Ascoltati, guardati intorno, cammina ancora attraverso il tuo corpo, accarezzandone le pareti. Dirigiti verso la sede della reale vista, la vista di ciò che è invisibile agli occhi, proprio come dice il Piccolo Principe (citazione del raccondo di Antoine de Saint-Exupéry). Vuoi entrare?”
“Pulsa! E’ caldo, e morbido, e avviluppante.”
“Vuoi entrare?”
“Sì… Ecco, lo sento…. è … è … silenzio?”
“Oh sì.
E’ il tuo foglio bianco. Da riempire di cose buone. Tue emozioni. Emozioni che nessuno ti ha detto perchè lette su un libro o perchè si è limitato ad accogliere ciò che galleggiava in superficie per poi scappare con una conclusione affrettata.
E’ il tuo foglio bianco. Ti sei data tempo, di sentire, di accogliere quella sensazione fastidiosa, dolorosa, sconosciuta. Non l’hai scacciata, l’hai manipolata, hai atteso che prendesse forma, una forma indefinita, perchè è ancora così piccola, ma è la tua cosa. Curala, nutrila di luce, di tempo e di spazio senza parole.”
“Ma… ne sarò capace?”

“Li vedo i tuoi occhi, alla fine di questo racconto… io credo di sì”.