Qualche giorno fa io e mio marito Giovanni decidiamo di andare alla casetta dell’acqua a riempire le bottiglie di casa.
Lì vicinissimo, c’è il cortile della scuola primaria, perciò decidiamo di fare un saluto ai bambini.  C’è una piccola piazzola rialzata, quindi il cortile è molto ben visibile, e dopo qualche minuto riusciamo a scorgere i nostri figli. Anzi, Giovanni localizza Emma prima di me, e gli sento pronunciare, con voce triste:
Ohhhh… è seduta da sola sulla panchina… non sta giocando con nessuno.
Lo guardo mentre pronuncia queste parole.
So bene come posiziona le labbra quando qualcosa lo disturba, avverto il suo dolore nel vedere Emma sola, e mi chiedo chissà quale dolorosa proiezione futura sta avvenendo nella sua mente, in quel preciso istante.
Poi ascolto me.
Non avverto nessun dolore, anzi, serenamente lo faccio ragionare sulle possibili interpretazioni della scena.
Può darsi che Emma:

  • si sia appena seduta, stanca per un gioco appena fatto.
  • abbia trovato un suo posto lontano da una situazione che la disturba
  • abbia discusso con le sue amichette e per questo allontanata
  • stia giocando a guardare gli altri che a loro volta giocano

Giovanni annuisce. Poco convinto. Il suo dolore è ancora lì.
Ho registrato l’accaduto e l’ho accantonato nella mente, in attesa di analizzarlo meglio, scrivendo.

Altra scena.
Mio sentito questa volta.
Oggi vado a prendere Emma a fine lezione di ginnastica artistica.
Mi riprometto di andare 10 minuti prima, in modo da poterla vedere, visto che lei me lo continua a chiedere e io invece arrivo sempre all’ultimo minuto.
Entro, osservo la fila di bambine pronte a correre sulle panche posizionate per poi saltare sul trampolino e fare la capriola, atterrando sul materassone.
Non vedo Emma.
Mi avvicino un po’, e vedo che Emma è accanto al materassone, in ginocchio.
Ohhhh… lei non fa l’esercizio.
E questa volta la spina dolorosa l’avverto.
E’ come una sensazione di inadeguatezza… mia o per lei?
Poi vedo che in realtà un ruolo ce l’ha in quella posizione, e cioè quello di risistemare il materassone dopo i salti delle bambine, proprio come sta facendo la maestra dall’altra parte, di fronte a lei.
Mi basta per mettere a tacere quella sensazione?
No.
Mi chiedo:

  • forse l’esercizio l’ha fatto prima,
  • è troppo difficile per lei (io stessa avrei difficoltà a correre su una fila di panchine… forse)
  • forse il suo ruolo in quell’ora e mezza settimanale è marginale… soltanto a volte o è sempre marginale?

Poi riguardo Emma. Lei mi vede, mi sorride e saluta con la mano, dice alla maestra che sono lì e orgogliosa riassesta il materassone.
Quel sorriso un po’ mi rasserena e cerco di re-interpretare la scena… forse tanto di cappello alla giovane insegnante che oramai conosce risorse e limiti di Emma e le da comunque un ruolo in un esercizio forse troppo impegnativo?
Chissà. Forse è arrivato il momento di avere una sorta di feedback dalle insegnanti.

Guidando verso casa, ascoltando Emma che canta gli Aerosmith, penso.
Penso che il fantasma della disabilità sia dentro ogni genitore di un bambino con disabilità.
Lo puoi mettere a tacere, nascondere sotto fitte trame ben cucite di fiducia, stima e positività, tanto da pensare che oramai è stato esorcizzato.
Poi, esce, più o meno violentemente, spesso sospinto fuori dal confronto con il mondo dei pari, e non sempre ti è facile contenerlo.
Cerchi di convincerlo a rimettersi quella bella copertona patchwork che gli hai creato con cura negli anni, con tanti colori positivi e luce buona. A volte ti ascolta di buon grado, e se la rimette quasi subito, a volte ti sguscia via come l’acqua tra le dita, perchè proprio non la vuole reindossare.

Ahhh l’emozione, fonte inesauribile di vita e dolore allo stesso tempo.
Mi fa immaginare la vita di noi genitori di bambini con disabilità come il nuotare in un fiume.
A volte l’acqua e fredda, addirittura gelida, altre volte è calda, piacevole. Le correnti possono essere delicate, e farci stare tranquillamente a galla, facendoci godere del sole e del paesaggio circostante. A volte sono impetuose, cariche di mulinelli che ci vogliono trasportare verso il basso, togliendoci il respiro.
Poi ti capita di vedere qualcuno sulla riva, che si sbraccia per farti vedere le cose da un altro punto di vista.
Lo ascolti e ti rassereni.
Per un lungo o per un brevissimo momento.
A volte quel qualcuno è proprio il sorriso sincero di tuo figlio.

Rileggo quanto appena scritto sopra…
Mi fa immaginare la vita di noi genitori di bambini con disabilità come il nuotare in un fiume…”
ma non è forse una metafora adeguata per qualsiasi genitore particolarmente in ascolto?