Mi avete permesso di entrare, nel vostro piccolo, enorme, e a me sconosciuto mondo.
Sguardi che nascondevano emozioni e contemporaneamente le urlavano a gran voce.
Imbarazzo, paura, spossatezza. Questo ho letto nei vostri occhi di neo genitori di un bimbo con la sindrome di Down.
Chi eravamo noi per voi, in quel corridoio?
Ancora di salvezza in un momento tanto difficile o intrusi non degni di mettere parole su quel vostro dolore?
I tuoi occhi di mamma, così svuotati dalla gioia dell’arrivo di una nuova vita, il pallore del tuo viso, la mano tesa senza tono.
Andiamo in una stanza adatta, per parlare” hanno detto, e tu ci hai seguito in silenzio, rassegnata o speranzosa, e a me sono venuti in mente i fantasmi dei film giapponesi, che fluttuano a pochi centimetri da terra, senza movimenti del corpo.
Ho incrociato te, papà, gli occhi rossi dal pianto, un movimento continuo della mano a scacciare via le lacrime.
Hai accettato ti abbracciassi, e hai semplicemente pianto. Ti ho stretto, non così forte come avrei voluto, facendo un pensiero se questo fosse concesso o meno dal tuo credo religioso, ma dal modo in cui ti sei dato in quell’abbraccio ho pensato fosse la cosa giusta per quel momento.
Un abbraccio, che contiene e a volte ripara.
La stanza non era molto adatta, una scrivania e altre persone che ci lavoravano dietro, e voi seduti di fronte a loro, come si fa quando si è al cospetto di un dottore, le mani appoggiate sulla scrivania quasi per meglio tenersi ascoltando responsi negativi.
No, così non va bene, mi sono detta. Non è così che deve essere questo momento tanto delicato.
Ma mentre cercavo di capire come aggiustare quella postazione, sei arrivato tu, il piccolo nuovo nato, stupendo in quel tuo nido di copertine, al caldo, con dei lineamenti delicatissimi e delle manine enormi. La presenza del saturimetro condizionava un po’ le posture da assumere per tenerti, ma appena sei stato accolto dalle dolci braccia della tua mamma… eravate un tutt’uno.
Nuovamente.
Lei ti ha baciato. Sulla parte alta della guancia, accanto all’occhio, un dolcissimo bacio carico di mille significati.
Dietro di voi, ricominciano a scorrere le lacrime, infinite silenziose lacrime.
Ho cercato l’espressione più comprensiva e accogliente mi potessi dipingere in viso, e ho aspettato.
Le vostre domande erano legate al futuro incerto di bambini nati con questa trisomia, soprattutto legate alla vostra non conoscenza di persone nate con questa condizione genetica: camminerà? Parlerà? Capirà? Ce la farà?
Risposte razionali (o totalmente irrazionali) per riportarvi ad una sorta di realtà.
Ma io ero lì per parlarvi del qui ed ora, perchè so bene quanto la mente, se galoppa troppo in avanti, si perda e con difficoltà ritrovi la strada del ritorno.
Shock, dolore, rifiuto, rabbia e accettazione.
Questi gli stadi della gestione di un evento traumatico. Stadi che è bene affrontare uno per volta.
Il dolore… perchè rifiutarlo? Perchè non volerlo sentire, gestire, digerire?
Lacrime che vanno versate per lasciare posto ai sorrisi.
Ed è stato proprio un sorriso che vi ho visto dipinto sul volto quando sono entrati gli altri vostri figli, incuriositi e dubbiosi sul perchè della nostra presenza, ma soprattutto attratti da quel piccolo bimbo che aveva una boccuccia che già dava baci.
Ancora tue lacrime, movimenti della testa quasi a dire “no, non è possibile“, ma dall’altra ancora tuoi baci, sempre più frequenti, quasi a dire “sei reale, sei inaspettato, ma io ci sono“.
I bambini escono, e lei, lei che ci aveva voluto lì quella mattina perchè consapevole di quanto importante sia il messaggio di chi l’ha già vissuto, lei vestita con il suo camice verde e i suoi profondi occhi comprensivi e carichi di emozione, si è accovacciata, sorridendovi, e ha iniziato a massaggiare i tuoi minuscoli piedini.
Con delicatezza, costante delicatezza, e qualcosa è cambiato: il valore del saturimetro ha iniziato a salire.
Il potere della riflessologia plantare unito alla rilassatezza di te mamma, alla visita dei fratellini, e sorrisi sinceri che cercavano di un viso fertile sul quale sbocciare, ha portato ossigeno al tuo sangue.
Altre figure in camice, sorridenti e rumorose, pronte a raccontare come il bambino avesse un fisico forte, una muscolatura evidente, e a come tutte se lo contendessero per coccolarlo. Tu, papà, hai abbassato gli occhi, ma questa volta hai sorriso, un sorriso vero, puro, e hai appoggiato una mano sulla spalla di tua moglie, quasi a dire “brava!“. Chissà se quel gesto lo hai fatto coscientemente, o se per un momento hai dimenticato la situazione, ricaricato da tanta positività che quelle donne ti stavano mostrando del tuo bambino.
Io l’ho registrato come un gesto positivo, un piccolo passo in avanti verso l’accettazione di colui che arriva a te non come una diagnosi, ma semplicemente come un bambino bisognoso di amore.

Penso spesso a voi, a come mi è stato detto vi siete trasformati in quei giorni.
Spero in quelle lacrime necessarie, in sorrisi sempre più frequenti, in caldi abbracci e occhi di bambino che fanno meglio vedere oltre.
Oltre la diagnosi, oltre un taglio degli occhi particolare, oltre gli stereotipi infondati… oltre la paura.

Buona nuova vita a voi.