Tempo di colloqui, di valutazioni, di grandi decisioni.
Osservo i tanti bambini delle scuole dell’Infanzia e Nidi dove lavoro come psicomotricista, e vedo sempre più bambini che faticano a stare fermi.
Come possono stare fermi in un corpo ancora pieno di pulsione, carico di immagini registrate a livello inconscio che parlano del loro vissuto corporeo?
Eppure nell’anno dei “grandi” dell’asilo viene chiesto loro di stare seduti, di colorare dentro i margini di un’immagine, di avvicinarsi alla prescrittura per consolidare i prerequisiti che verranno poi richiesti alla scuola dell’infanzia.
Fermare un corpo che è il primo mezzo di relazione e comunicazione.
Magari imponendo di fermarsi, afferrandolo per le spalle e dicendogli ora stai seduto dobbiamo colorare non sapendo che colorare dentro quei margini non è soltanto un abilità oculo-manuale ma il risultato del raggiungimento di un’unità di se.
Già Platone riconosceva che “si può conoscere di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione” e con questa intuizione si sottolineava come, soprattutto nel primo decennio di vita, il linguaggio con cui il bambino esprime se stesso non è tanto quello verbale, ma è proprio quello del corpo, del movimento e dell’azione che si concretizza nel gioco.
Perchè il muoversi del bambino ci spaventa tanto?
Cosa muove dentro di noi a sua volta?
Ricordo come le mie formatrici sottolineassero come fosse più preoccupante il non muoversi del bambino, in un contesto di espressività motoria.
E dunque, tornando ai colloqui, come posso io sottolineare che vostro figlio dovrebbe essere diverso?
Diverso … per chi?
Dovrei dirvi che dovrebbe fermarsi, o muoversi di più, che dovrebbe alimentare la sua autostima, buttarsi di più in determinate situazioni che noi adulti riteniamo sicure, dovrebbe aprirsi più facilmente alla relazione perchè altrimenti nella vita gli metteranno i piedi in testa?
Non io.
Io vi racconto cosa fa in quella sala di psicomotricità, le sue piccole o immense risorse che in un ambiente accogliente e sotto uno sguardo aperto possono essere alimentate.
Come ci spiegava il neuropsichiatra dottor Polacco prima di parlare di sintomo osservate frequenza, intensità e durata dell’atteggiamento disarmonico.
Perciò io vi chiedo cosa sta vivendo in questo periodo il bambino: come è il suo ambiente familiare nel qui ed ora, che cambiamenti sta subendo, che limiti gli vengono dati. Quel no, da noi utilizzato a volte con così tanta facilità da diventare privo del suo strutturante significato, diventa forse sì per sfinimento?
Quel no è fondamentale per il suo crescere, è il nostro contenimento d’amore per lui.
E soprattutto, la risoluzione che proponiamo ad un determinato suo comportamento, risolve solo la situazione momentanea o crea le basi per una sua consapevolezza personale, per un suo autocontrollo?
Siamo forse più concentrati a mettere dentro, puntanto più sulla didattica insegnata in un contesto che non guarda il reale sviluppo del bambino piuttosto che disponibili a lasciarlo giocare e sperimentare?
Ci concediamo di giocare con lui o lei, anche solo 10 minuti al giorno, senza distrazioni esterne, giocando al gioco che nostro figlio ci sta chiedendo?
Ad un colloquio una mamma mi ha detto “certo, il suo punto di vista è edificante, ed essendo mamma di una bambina con disabilità sento che quanto crede in ciò che mi sta dicendo… ma è così faticoso.”
Chi mai ha detto il contrario?
Fatica, a volte fatica immane, ed è per questo che io sostengo che sono i genitori a potersi informare e formare per essere il meglio per i propri figli, per ognuno dei propri figli, che nasce con determinate uniche ed irripetibili caratteristiche.
Abbiamo una grande responsabilità.
Ma se la cogliamo come opportunità, di crescita per entrambi, nel rispetto del personale modo di porsi in questa vita, ci si potrebbe stupire del risultato.
“Se vuoi guastare un carattere devi solo correggerlo. ”
Oscar Wilde
Il mio giovane persorso professionale è nutrito da formazioni mensili, a volte settimanali, di diversa entità per sempre più delineare la mia complessa forma, formazioni che costano denaro, tempo e fatica, ma mi permettono di conoscere sempre più strategie da calare nella realtà di ogni bambino. Di soddisfazioni ne ho molte ma anche di sconfitte, nel non essere stata in grado di dare la giusta risposta a quel bambino. Ma ho imparato a perdonarmi, perchè ero nell’intenzione.
E perchè so che il bambino quell’intezione la sente.
Poco tempo fa, T. mi è davanti, con un piccolo omino lego in mano.
Tutti gli altri stanno facendo le loro cose, e lui si perde a far saltellare l’omino. Si avvicina a me, e se lo fa sobbalzare sul braccio, sulla mano, sulla testa, con sempre più foga e uno sguardo vuoto.
“Sai che se lo faccio saltare tanto sulla mia testa me la buca? Così poi esce tutto il sangue!”
“Può succedere, hai ragione, ma ora io vedo tutto dentro.”
Il suo sguardo si anima, si avvicina e inizia a farmi saltellare l’omino sul braccio, sulla spalla, sulla testa.
Sorrido e gli chiedo: “e se buca la mia testa, cosa esce?”
Lui si ferma, guarda per un momento nel vuoto, sorride e mi dice: “diamanti!”