Emma va spesso nella sua aula di sostegno.
Ci va con le sue maestre di sostegno Monica, Michela e l’educatrice Serena. Lì c’è il suo piccolo mondo, a portata di mano, dove può meglio concentrarsi, dove ha il computer con i programmi di potenziamento per italiano e matematica.
Dove può appendere le sue opere più significative, drammatizzate e poi create usando vari tipi di materiali, magari costruite durante l’ora di religione. Dove può vedere Rosetta Gamberetta, che fa saltare indietro nei numeri, o Arturina Cangurina, che invece salta in avanti. Dove può raccontare di se e del suo mondo, senza il vociare eccessivo della classe, che potrebbe inibirla e spingerla a non dire nulla.
Dove può sentirsi capace al cento per cento delle sue potenzialità e dove le può consolidare.
Perciò mi domando… aula di sostegno sì oppure no?
Provo a fare un passo indietro e a spiegare il mio punto di vista.
Quando iniziammo il percorso logopedico in Asl con la luminosa logopedista Vanda, Emma aveva quasi 3 anni.
E già mi pareva di aver perso tempo.
Tempo per aggiustare la mia bambina…
Vanda notò subito il mio turbamento, e quasi a volerlo sottolineare, anche se ora so bene il suo intento fosse diverso, esclamò:
“Ah mamma non credere che Emma verrà qui per fare esercizi fonetici a tavolino: Emma si deve innanzitutto fidare di me, essere a suo agio, ritornare volentieri, e imparare divertendosi.”
Le sue parole mi spiazzarono.
Stretta allo stomaco…
Non avrebbe dunque iniziato a parlare finalmente correttamente, a strutturare una frase in tutte le sue parti, a leggere anticipatamente perchè così una volta a scuola non avrebbe vissuto il gap con i suoi compagni?
Difficile accettarlo.
Come avrebbe fatto Emma senza tutti questi interventi che nella mia testa erano fondamentali per un suo crescere, crescere il più simile ai suoi coetanei normodotati.
Lei doveva essere aggiustata…
Iniziai gli studi in pratica psicomotoria Aucouturier, 3 anni duranti i quali le parole di Vanda inziarono ad avere un senso, così come ebbe senso che ogni bambino dovesse essere rispettato secondo un suo tempo personale. Di maturazione psico-fisica, di apprendimento, ma soprattutto di un suo benessere nel mondo.
Ben-essere che va al di là di generali linee guida, o di tabelle di sviluppo, ma è cucito addosso solo e soltanto a quel particolare bambino, frutto di rispetto, attesa, accoglienza positiva, strategie.
Il mio punto di vista sulla disabilità di Emma è cambiato prestissimo in questi 8 anni insieme a lei: da sindrome di Down come mostro da combattere a caratteristica di mia figlia, riconoscendo quanto fosse fondamentale non facilitare, non sostituirsi a lei, non concedere atteggiamenti sbagliati per risolvere questioni nel qui ed ora senza pensare alle ripercussioni future di quella risoluzione momentanea.
E molto presto ho capito quanto fosse rispettosamente necessario evitare di mettere e mettere e ancora mettere dentro mia figlia, presupponendo che quanto lei avesse da tirare fuori spontaneamente fosse troppo poco.
Troppo poco per chi… lei, gli occhi che ogni giorno la osservano in una società che classifica… o per me?
Chi delle due doveva essere aggiustata… lei, o io?
Emma ora sta per terminare la 2′ elementare.
Il team di insegnanti ha lavorato su un PEI (piano educativo individualizzato) che puntasse su abilità innanzitutto personali, che potesse concretizzare e consolidare in base all’esperienza: chiedere prima di uscire dalla classe, rimanere il giusto tempo in bagno, iniziare e finire un’attività prolungando sempre di più il tempo di attenzione, organizzare in modo coerente e riordinare quanto appena usato, concentrarsi su un compito personalizzato anche con il brusio della classe, rispondere con coerenza a domande poste alla classe, ampliare sempre più la cerchia di adulti di riferimento.
Abilità che potranno essere generalizzate nei vari contesti di vita futura.
Senza il giusto tempo, spazio e materiali (strategie) messi a disposizione, proprio come dice lo stesso Aucouturier, Emma, e qualsiasi altro bambino, non potrebbe collocarsi al suo meglio nella classe, e nel mondo.
Non alzerebbe la mano volontariamente per rispondere, non uscirebbe alla lavagna per recitare una filastrocca, non amplierebbe la sua cerchia di amicizie, non mi racconterebbe cosa le accade a scuola, non mi direbbe che lei è grande e che quelli di classe 1′ sono piccoli, non si figurerebbe grande fino a 18 anni, età in cui farà la patente e guiderà una macchina fucsia e viola.
Io so che in quell’aula di sostengo, con quelle persone attente, che provano e riprovano metodi prima di trovare quello adatto a lei, lei può crescere sostenuta nella sua personale forma.
Perchè l’autonomia non è solo quella funzionale alla quotidianità ma è la capacità di scegliere e di applicare strategie per ottenere il meglio da ogni situazione.
Il meglio per me persona.
(Mettete pausa alla playlist musicale a fondo pagina per ascoltare il video)
Avere e dare fiducia…mettere e sentirsi a proprio agio…bellissima!
Grazie carissimo…
Complimenti! Hai una bambina spettacolare!
grazie Luciana, è proprio così…